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Il ruolo di Mattarella
 
di Guido Bodrato
 

Il profilo di Sergio Mattarella lo ha tracciato Pierluigi Castagnetti, su “Il Nostro Tempo”, con una intervista che si riferisce ad alcuni momenti decisivi della sua vita e del suo impegno politico, con riflessioni che hanno evidenziato come anche la politica cammina con le gambe degli uomini.
Quasi tutti i commentatori hanno insistito sulla riservatezza, sulla serietà e sulla coerenza di Mattarella. Smentendo molte previsioni, il discorso che il Presidente ha pronunciato dopo il giuramento è stato accolto dagli applausi quasi unanimi dei grandi elettori.
Si è trattato di un discorso lineare e credibile: il nuovo Presidente si è definito “arbitro” nella contesa politica (che si augura corretta), ha riconosciuto la necessità di riformare le istituzioni democratiche per renderle capaci di affrontare con maggiore efficacia le sfide del tempo, ha sottolineato con forza l'importanza dell'attuazione del “patto sociale” che caratterizza il progetto della Costituzione repubblicana, facendo riferimento al diritto dei giovani allo studio ed al diritto al lavoro, cioè al complesso delle politiche che definiscono lo Stato sociale.
La realtà di un progetto costituzionale minacciato dalla globalizzazione, mi ha fatto ricordare una riflessione svolta da Mattarella in occasione di un convegno della sinistra democristiana, nel settembre dell'84: non dobbiamo temere il futuro; non dobbiamo temere i cambiamenti; compito della politica, di una politica con profonde radici morali, è guidare i cambiamenti.
Che Mattarella sia un politico attento ai valori della Costituzione appare evidente a chi voglia guardare alla sua esperienza parlamentare e di governo. È stato eletto a Montecitorio per la prima volta nell'83 ed è stato rieletto fino al 2008. Poi è tornato all'Università fino all'elezione – da parte del Parlamento – alla Corte costituzionale nel 2011. Ha fatto parte di quattro governi e ha guidato tre ministeri: Rapporti con il Parlamento, Pubblica Istruzione, Difesa. È pertanto sorprendente il commento di chi, dopo avere apprezzato la scelta di “una persona degna e irreprensibile” ha insistito sulla sua “scarsa notorietà”, con una critica che dovrebbe essere rivolta al sistema dei media: non a chi si è sempre sottratto alla politica spettacolo, per la stessa ragione per cui non ha mai ceduto alla personalizzazione della politica.
Sergio Mattarella è una persona riservata, che tuttavia sa indignarsi ed essere ironico, e nel '90 ha saputo dimettersi dal governo per restare coerente con una corretta visione della vita democratica.
Il consenso espresso dai grandi elettori di Montecitorio ha interpretato le attese e in molti casi l'entusiasmo di una opinione pubblica che sta ripensando con maggiore obiettività a un ciclo della storia italiana caratterizzato dalla centralità della DC. Quel ciclo storico è stato demonizzato e poi praticamente cancellato dalla memoria del Paese. Ma non dobbiamo attenderci da questa importante vicenda un ritorno alla Prima Repubblica, anche se ha ragione chi sostiene che cambierà l'orizzonte politico. I cattolici democratici sono stati risvegliati da un lungo sonno; tocca loro – in questa transizione – una nuova responsabilità per il futuro della democrazia, mentre molti partiti saranno costretti a ripensare la propria collocazione e la propria strategia.
Matteo Renzi esce vincitore da questa battaglia politica e il PD appare più unito; il “patto del Nazareno”, fondato su un rapporto privilegiato tra Renzi e Berlusconi, sembra al tramonto; chi si era seduto sulla sponda del fiume e attendeva il cadavere della democrazia rappresentativa, è ora più attento alle sfide del tempo. Chi ha accusato il premier di avere giocato spregiudicatamente, dovrebbe riconoscere che questa partita non poteva avere due vincitori: una presidenza di compromesso sarebbe stata interpretata come una vittoria di Berlusconi, e questo avrebbe pesato sul Partito Democratico, in un momento decisivo. Comunque, la dimensione del successo di Mattarella chiude ogni discussione sul metodo: questo presidente sarà davvero al di sopra delle parti.
Sergio Mattarella è approdato alla politica dopo i quarant'anni, ma con una evidente ispirazione “cattolica democratica”, collocandosi nella scia del Concilio Vaticano II, con una trasparente convinzione sulla laicità della politica e con una solida cultura costituzionale. Quando il fratello Piersanti è stato ucciso dalla mafia, poiché aveva imposto la correttezza amministrativa nella Regione, ne ha ereditato il ruolo, sentendolo come un dovere; nella Dc di Zaccagnini si è affiancato a Leopoldo Elia e a Nino Andreatta, e ha partecipato alla tormentata esperienza del Partito popolare, sostenendo Romano Prodi nella stagione dell'Ulivo ed infine partecipando alle difficili scelte che hanno portato al PD. Un “partito nuovo”, nato dalla convergenza di culture politiche spesso contrapposte, in diverso modo messe alla prova dalla storia. Un partito che nell'ultimo convegno dei Popolari (Chianciano 2006) Sergio Mattarella preferì definire “plurale” piuttosto che “unico”, concordando con Scoppola; nella convinzione che un partito di centrosinistra e “riformista” poteva essere “a vocazione maggioritaria” solo con una forte presenza della componente cattolico democratica, in questo concordando con Pierluigi Castagnetti.
Chi conosce Sergio Mattarella sa tuttavia che sarà il Presidente di tutti gli italiani, che non ci sarà un “partito del presidente”, che sarà arbitro in ogni occasione. Ma in ogni occasione – quando saranno in discussione provvedimenti che riguardano la Carta del '48, che ha radici nella Resistenza – sarà un intransigente difensore dei valori e degli equilibri istituzionali, delle responsabilità del governo e della centralità del Parlamento.