Ci è parso significativo anche l’articolo che lo storico e senatore PD Miguel Gotor ha dedicato a Sergio Mattarella. Appena pubblicato dal quotidiano on-line “Huffington Post”, lo proponiamo alla vostra lettura.
Il primo pensiero del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato dedicato "soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo". Poche, essenziali parole ed è giusto che sia così, perché l'Italia sta attraversando una fase particolare della sua storia in cui gli affanni dovuti alla crisi economica, la più lunga del dopoguerra, il lavoro che non c'è e, quando c'è, è precario e malpagato, l'incertezza del futuro per i più giovani, le difficoltà di arrivare a fine mese per i pensionati, le ansie di nuove povertà che attanagliano il ceto medio, si mescolano con le attese di un riscatto civile, politico e sociale e il legittimo orgoglio di un grande Paese. Una nazione che deve trovare in se stessa, senza indulgere nell'autolesionismo o nel piagnisteo, le energie per risollevarsi, il coraggio di cambiare e di rinnovarsi, la spinta per combattere conservatorismi e corporativismi.
Il primo atto del nuovo presidente della Repubblica è stato quello di recarsi in visita privata alle Fosse Ardeatine per rendere omaggio al mausoleo delle vittime dell'eccidio nazi-fascista del marzo 1944. Un gesto semplice, ma carico di significato che avviene nell'anno in cui si celebra il settantesimo anniversario della Resistenza. L'insieme di quei valori vanno trasferiti nella testa e nei cuori delle giovani generazioni e la sola memoria non basta più. In politica e nelle istituzioni sono ormai scomparsi i rappresentanti di quella stagione, quanti hanno vissuto direttamente quelle drammatiche e gloriose fasi della vita di un uomo e della storia nazionale ed è giunto il momento di passare un testimone con la coerenza, la certezza dei valori, il buon esempio di gesti simbolici e rituali come quello compiuto dal nuovo presidente.
Il tratto più importante della sua elezione è stato il largo consenso che si è costruito intorno al suo nome fra i grandi elettori: un dato rilevante perché la Costituzione prescrive che il presidente della Repubblica sia anzitutto il rappresentante dell'unità nazionale. E l'unità è il prerequisito necessario per realizzare quel rilancio, non solo politico, ma anche etico-civile di cui l'Italia ha bisogno.
Il merito di questo risultato va attribuito all'accortezza con cui il premier Matteo Renzi, nelle vesti di segretario del Partito Democratico, ha saputo gestire questo difficile passaggio. Lo ha fatto, diversamente da altre volte, a partire dall'unità del suo partito, individuando un nome, con un profilo di autorevolezza e di autonomia, su cui l'intero PD potesse convergere e dunque dispiegare la propria energia politica, la persuasività della sua proposta.
In queste delicatissime giornate erano in gioco il presidio delle prerogative fondamentali del Capo dello Stato e dunque il tema centrale in una democrazia moderna dei rapporti e degli equilibri che devono sussistere tra potere esecutivo (governo) legislativo (parlamento) e giudiziario (magistratura). Nessuno sa che tipo di presidente della Repubblica sarà Mattarella, ma già conosciamo, questo sì, l'uomo e il politico che è stato fino a oggi: un impasto di mitezza e di tenacia, di equilibrio e di rigore, di sobrietà e di duttilità che appartengono alla storia e agli esempi migliori del cattolicesimo democratico italiano, lungo un filo che partendo da Aldo Moro conduce a Pietro Scoppola e a Leopoldo Elia. Un filo che rassicura e fortifica perché tiene insieme e non divide a partire da un cuore di valori buoni e giusti.
In queste ore sbagliano quanti celebrano l'elezione di Mattarella sotto le insegne di un orgoglio democristiano ritrovato e redivivo. La DC è stata, come tutti i grandi partiti, tante cose, anche lontanissime le une dalle altre. E non è lecito sovrapporre per intero la sua complessa storia con il ruolo e la funzione che ha svolto al suo interno il cattolicesimo democratico di cui Mattarella è uno degli ultimi e più autorevoli esponenti. Un pensiero fecondo, ma progressivamente sempre più emarginato che ha coniugato l'interesse per la “Respublica” con l'attaccamento all'esperienza cristiana, a partire dalla consapevolezza laica che alla politica si nasce non perché credenti, ma in quanto cittadini.
Proprio sul tema della lotta alla mafia, per esempio, è scorretto mescolare sino a confondere nell'eterno ventre molle della Balena bianca le vittime di Cosa nostra con quanti con la mafia strinsero un patto di governo a livello siciliano e nazionale. Lo sapeva bene Aldo Moro, che può essere indicato fra gli ispiratori politici del nuovo presidente della Repubblica, quando nel suo cosiddetto memoriale dalla prigionia, una sorta di testamento morale, politico e civile, rivolto a Giulio Andreotti scriveva: «Si può essere grigi, ma onesti; grigi, ma buoni; grigi, ma pieni di fervore. Ebbene, On. Andreotti, è proprio questo che Le manca. Lei ha potuto disinvoltamente navigare tra Zaccagnini e Fanfani, imitando un De Gasperi inimitabile che è a milioni di anni luce lontano da Lei. Ma Le manca proprio il fervore umano. Le manca quell'insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità che fanno, senza riserve, i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo. Lei non è di questi. Durerà un po' più, un po' meno, ma passerà senza lasciare traccia».
Ecco, Mattarella è certamente un uomo – per parafrasare Moro – la cui saggezza, flessibilità e limpidità fanno i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo. I pochi però, non i tanti, perché il cattolicesimo democratico esige la pratica di una sorta di azionismo cristiano, non disgiunto da una sana proiezione popolare e sociale anti-elitaria, che nel nostro Paese è raro riscontrare.
Ma se il buon giorno si vede dal mattino, i primi atti del nuovo presidente della Repubblica ci inducono a guardare con fiducia al futuro dell'Italia e dei cittadini italiani. |