Lo ha ripetuto recentemente il sociologo e il politologo Ilvo Diamanti su “Repubblica”, pubblicando un sondaggio sulla credibilità e sulla affidabilità, oggi, della politica, dei partiti, dei politici e delle stesse istituzioni tra i cittadini italiani. Semplicemente un disastro. E cioè, mai nel nostro Paese dal secondo dopoguerra la politica nel suo complesso aveva riscontrato un tasso di fiducia così basso e scadente. Un processo che coinvolge, purtroppo, tutte le istituzioni. Anche quelle più prossime ai cittadini, come i Comuni. Per non parlare delle Regioni, coinvolte quasi tutte in indagini sulle spese “pazze”. Ma la sfiducia coinvolge in modo trasversale il Parlamento, il Governo e la stessa Presidenza della Repubblica. E, dulcis in fundo, i partiti: la loro credibilità non raggiunge neanche il 3 per cento tra i cittadini italiani. E questo al di là di tutti i proclami, le rottamazioni, il cambiamento, il rinnovamento e le prediche dei vari protagonisti politici.
Insomma, siamo di fronte ad uno scenario che porta a una conclusione alquanto inquietante: oltre i 2/3 degli italiani pensano che la democrazia possa fare tranquillamente fare a meno dei partiti e oltre 1/3 arriva a dire che un sano regime autoritario sia sostanzialmente preferibile al sistema democratico.
Ora, senza scivolare nei facili allarmismi è indubbio che, malgrado l’insistenza sull'ottimismo e sulla speranza nel futuro predicato a piene mani da alcuni partiti e dal Governo, ci troviamo di fronte a una sfiducia ormai cronica che sfocia e accarezza sempre di più l'antipolitica che serpeggia nel sottosuolo – e non solo – della società italiana. Questo sentimento provoca una reazione negativa nei confronti dei processi di cambiamento e di rinnovamento politico ed istituzionale predicati in questi ultimi anni e in particolare in questi ultimi mesi.
Ecco perché, di fronte a un quadro così preoccupante, non sarebbe affatto stonato recuperare alcuni tasselli del passato. E questo pur senza esserne prigionieri o semplicemente nostalgici. Come quando un grande cattolico democratico, lo storico Pietro Scoppola, invitava i politici italiani della metà degli anni ’80 – di qualunque tendenza e di qualunque orientamento culturale – a coniugare in una sintesi efficace e trasparente la “cultura del progetto” con la “cultura del comportamento”. Cioè a ridare spessore ideale e progettuale alla politica, senza limitarsi agli ormai sempre più frequenti fuochi d’artificio verbali alle agenzie di stampa, e ad accompagnare questo sforzo programmatico con atteggiamenti personali seri, trasparenti e credibili agli occhi dei cittadini. Senza alcuna deriva moralistica ma anche senza una dissociazione plateale tra ciò che si predica e ciò che si pratica.
Ora, se è vero com’è vero che tutti auspichiamo un 2015 capace di ridare credibilità morale, etica e culturale alla politica e a tutto ciò che le ruota attorno – a cominciare dall'affidabilità delle stesse istituzioni democratiche – è altrettanto vero che questo può avvenire solo attraverso un cambiamento effettivo delle modalità concrete dell’azione politica. Se tutto dovesse proseguire come oggi – e cioè con una radicale dissociazione tra ciò che si dice in pubblico e ciò che si fa concretamente in privato – non lamentiamoci se le ragioni della profonda disaffezione ricordate da Diamanti e da tutti i sondaggisti si tradurranno poi in un pericolo per la stessa conservazione della democrazia italiana. |