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Renzo Franzo, l’umanista della Coldiretti
 
Intervista di Aldo Novellini
 

Cent’anni e non sentirli: questo potrebbe essere lo slogan che più si attaglia Renzo Franzo, classe 1914, parlamentare DC per cinque legislature, dal 1948 al 1972, e per trent'anni presidente della Coldiretti vercellese. Un uomo che ha speso la vita intera a favore del mondo agricolo, festeggiato a fine anno nella sua Vercelli e che abbiamo voluto sentire per farci raccontare in presa diretta un'esperienza politica e umana di straordinaria rilevanza.

Onorevole Franzo, ci racconti qualcosa della sua giovinezza.
Sono nato nel 1914, terzo figlio di un commerciante di Palestro (PV), località cara al Risorgimento, poiché nel 1859 gli italiani per la prima volta riuscirono a battere gli austriaci. Dopo gli studi magistrali mi sono laureato in Lingue nel 1936, all’Università Cattolica di Milano, poi padre Gemelli, allora presidente dell’Ateneo, mi suggerì di andare a Londra per impratichirmi della lingua. La Gran Bretagna era un Paese democratico, e mi colpì il fatto che chiunque poteva dire quello che pensava, a differenza di quanto accadeva nell'Italia di allora. Per noi cresciuti sotto il fascismo questa atmosfera di libertà era qualcosa di sorprendente. Quando tornai in Italia, mi impiegai al ministero della Guerra dove cercavano traduttori di inglese. Ma ormai la guerra era imminente.

Qual è il suo ricordo?
Alcuni dicevano che tutto sarebbe finito presto ma poi vennero i primi bombardamenti e le cose cambiarono anche perché, nonostante la grancassa del regime, non eravamo affatto preparati a un conflitto di quella portata. Nel 1942 dovevo andare a fare l'interprete in Libia, però poco prima dell'imbarco arrivò un contrordine. C'era stato lo sfondamento britannico a El Alamein e in pratica si capì che stavamo per perdere la guerra.

L'8 settembre dove lo colse?
A Genzano, vicino a Roma, e i tedeschi quando arrivarono ci fecero prigionieri. Fortuna che il conte Calvi di Bergolo, comandante della piazza della Capitale, aveva catturato alcuni soldati germanici, così venne fatto uno scambio tra noi e loro e fui liberato.

A quel punto, dove si diresse?
Tornai a Palestro dove incontrai il mio amico, Ermenegildo Bertola, professore di liceo a Vercelli che mi confidò di essere membro del CLN locale. Non sapevo cosa fosse quella sigla e tanto meno conoscevo la DC, partito cui lui apparteneva. Avendo però sin da studente seguito l’impronta del cattolicesimo mi sembrò naturale entrare in quell'ambiente politico e anziché presentarmi al comando della RSI entrai in clandestinità. Però non andai in montagna con i partigiani, ma mi ritrovai in un ruolo per certi versi paradossale.

In che senso?
Il prefetto di Pavia, indicò il mio nome per la carica di commissario del governo a Palestro. Ero perplesso riguardo a questo incarico legato alla RSI, anche perché ormai militavo nella Resistenza. Ne parlai con Bertola, che invece mi consigliò di accettare perché quel ruolo istituzionale poteva essere utile per un miglior collegamento con il CLN della Lomellina. Vissi così la Liberazione come commissario al municipio del mio paese.

Quando iniziò la carriera politica?
Nei mesi successivi alla Liberazione, nacque la Coldiretti e mi proposero come segretario della sezione di Vercelli. Mi piacevano la scuola e gli studi umanistici: poco o nulla sapevo di agricoltura, stavo per rifiutare ma finii per appassionarmi ai mille problemi della vita rurale. Intanto la Coldiretti cercava giovani da avviare alla politica e venni candidato per la DC all'Assemblea costituente. Fui il secondo escluso mentre andò decisamente meglio nella famosa tornata del 18 aprile 1948, quando entrai alla Camera, insieme al novarese Oscar Luigi Scalfaro col quale divenni ben presto amico.

Quali gli uomini politici che più ha ammirato?
Innanzi tutto De Gasperi, per la sua grande statura morale, e poi Antonio Segni, capace di promuovere la riforma agraria e anche se la distribuzione della terra ai contadini lo avrebbe privato di larga parte delle sue proprietà.

Come giudica la fine della DC?
Fu un clamoroso errore, perché se è vero che nel partito c'era molta sporcizia, bisognava fare pulizia e non chiudere i battenti di una storia che tanto ha fatto per la democrazia e il progresso del Paese.

E lei a quel punto, cosa fece?
Per me fu naturale passare al PPI, poi alla Margherita ed oggi al PD, anche se non ho mai appartenuto alla sinistra democristiana, avendo sempre militato nell'ala moderata di Bonomi e di Scelba. Però nel 1994 non c’era più il pericolo comunista e dunque si poteva anche andare verso sinistra. Non va dimenticato che, come disse De Gasperi, la DC era un partito di centro che camminava verso sinistra, ovvero una forza aperta alla promozione politica e sociale dei ceti più deboli.

In conclusione, come vede la politica di oggi?
Continuo ad appassionarmi a quello che accade. Sulla legge elettorale sono per le preferenze: d'altronde sono stato entrato cinque volte alla Camera con gli elettori che scrivevano il mio nome sulla scheda.


giorgio merlo - 2015-01-09
un'ottima intervista. Solidi contenuti, coerenza culturale, una grande dirittura morale. Senza arroganza e senza presunzione. Peccato che quella stagione - e lo dico pensando a quegli uonmini e a quelle donne - sia del tutto archiviata. Da quelle persone e da quelle esperienze umane, politiche e culturali abbiamo solo da imparare. In silenzio.