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Rispuntano le preferenze
 
di Giorgio Merlo
 

Il nodo cruciale di ogni riforma elettorale è sempre lo stesso: e cioè, come si eleggono i parlamentari. Mi rendo conto che sono temi del tutto avulsi dagli interessi reali dei cittadini elettori. Ma è pur vero che il tema dominante, almeno dal giorno dopo l’approvazione del fatidico “porcellum” nel 2005, della politica italiana continua ad essere la riforma della legge elettorale.
Ora, dopo svariati tentativi andati sostanzialmente a vuoto in questi anni, siamo forse giunti ad una svolta. Dico forse perché la riforma della legge elettorale, anche se viene approvata solo a maggioranza, richiede il voto segreto. E, come ben sappiamo quando il voto è segreto, tutto può sempre succedere….
Per fermarsi al merito della discussione, comunque vada a finire, pare che sia tornata in pista la scelta della “preferenza”. Al di là dell’ormai solido accordo tra Berlusconi e Renzi che prevede la nomina diretta del primo di ogni lista locale da parte delle segreterie dei partiti, gli altri candidati nei rispettivi collegi sarebbero scelti attraverso il ricorso alle preferenze. Non è ancora deciso se devono essere una o due, per rispettare il genere. Comunque sia, dovrebbe tornare la fatidica “preferenza” per la scelta dei futuri deputati.
Tutti conosciamo la letteratura che ha accompagnato, almeno negli ultimi vent’anni, la disputa attorno alla preferenza. Se dal 1946 al 1992 la politica italiana ruotava attorno alle preferenze per selezionare la classe dirigente, dopo il referendum del 1991 voluto da Segni e compagnia, la preferenza era diventata l’origine di tutti i mali. Al punto che durante tutto l’arco temporale della Seconda Repubblica, si sono citate le preferenze come “fonte della corruzione” e “strumento decisivo per corrompere le istituzioni e inquinare la vita pubblica italiana”. E non mancavano gli ingredienti a sostegno di questa tesi: enormi quantità di denaro nelle campagne elettorali, continuo ricorso al cosiddetto “voto di scambio”, contrapposizione frontale tra i candidati dello stesso partito, potenziamento delle cordate clientelari, strapotere delle varie lobby nella scelta dei candidati e via discorrendo. Temi non del tutto infondati perché il sistema delle preferenze nella società contemporanea non è lontanamente paragonabile ai tempi della DC, del PCI e delle forze laiche minori. Anche se già almeno dalla metà degli anni Ottanta in poi si potevano intravedere le degenerazioni che sono divenute evidenti con l’esplosione di Tangentopoli.
Temi che negli ultimi giorni, almeno pare, sono stati superati e rimossi miracolosamente, individuando proprio nelle preferenze lo strumento decisivo e migliore per ridare il potere ai cittadini di scegliersi direttamente i propri rappresentanti.
Ora, senza dilungarmi, credo sia necessario arrivare a una semplice conclusione: e cioè, mettersi d’accordo – e chiarire definitivamente – se le preferenze sono la “fonte di ogni corruzione” o se, al contrario, rappresentano un toccasana per moralizzare la vita pubblica italiana. Come capita il più delle volte, la ragione sta sempre nel mezzo. Se si scelgono le preferenze, l’unico antidoto che si può sperimentare per evitare che il tutto sconfini nella corruzione, nel dispendio di enormi quantità di denaro e nel riproporsi del voto di scambio, è quello che gli organi preposti accendano i riflettori per evitare di riprecipitare in quelle degenerazioni già note alla magistratura e alla stessa pubblica opinione. Se questo non dovesse essere fatto, il rischio di ripetere gli errori del passato sarebbe sempre dietro l’angolo.


giuseppe cicoria - 2014-11-21
Da quanto si sa in via ufficiosa mi sembra una presa....per i fond....! Si creano, forse, una marea di collegi nei quali i capi lista hanno il seggio assicurato (perché nominati) se il loro partito prende un numero sufficiente di voti. I nominati potrebbero essere oltre 300 o 400! I votati sarebbero, invece, una minoranza. Il tutto alla faccia delle democrazia diretta! Si continua a fare demagogia e in maniera subdola si tenta comunque di raggiungere l'obiettivo della cosiddetta deriva autoritaria. Il voto di scambio è certamente da combattere ma non si può per questo adottare soluzioni incredibili che tolgono il diritto sacrosanto dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti. Gli elettori in odore di mafia comunque troverebbero il modo di mandare i loro "compari" nelle sedi di comando. Anzi, con i nominati lo fanno anche meglio e lo si può notare se si osserva con attenzione il panorama nell'ambito di tutte le istituzioni!
Mario Lanfranco - 2014-11-18
"Ci sono dei personaggi che non sanno né parlare, né stare zitti, che quando si aprono le urne sembrano degli statisti". Noi italiani siamo spesso portati a pensare che esista "La Soluzione" di tutti i nostri problemi politici: di volta in volta si passa dall'euforia per la novità, le primarie - il maggioritario - il candidato premier - il partito unico - il ritorno al proporzionale - l'uomo della provvidenza, ecc., ecc., alla delusione e alla frustrazione per l'immutabilità di molte cose. Le preferenze, oltre a tutto quanto descritto nel Suo pregevole e limpido articolo, hanno il difetto di selezionare la classe dirigente in relazione alla popolarità e al consenso che riscontra il tal personaggio e mai per competenza o per esperienza. Personalmente porto sempre l’esempio della moglie del presidente della Pro Loco (senza altra particolare qualifica) che prese dieci volte le preferenze della dottoressa esperta di psicologia della famiglia e dell’infanzia, la prima divenne assessora ai servizi sociali, la seconda non venne neppure eletta in consiglio comunale. Il mio intervento non vuol essere una difesa d’ufficio del “Porcellum”, ma occorre immaginare dei meccanismi di valutazione dei candidati in funzione del loro “sapere”, prima che del loro “apparire”. Anche il meccanismo delle primarie non aiuta proprio perché va nella direzione della selezione per consenso e per popolarità. Forse la strada da ripercorrere potrebbe essere quella di tornare alla scelta dei candidati e alla formazione delle liste che partendo dalla rappresentanza della società, giovani, ingegneri, operai, avvocati, pensionati e dalle esperienze da essi maturati. Deve essere però chiaro a tutti che l’obiettivo non potrà essere unicamente “vincere”, ma soprattutto formare una classe dirigente competente.