Da più parti circola una tesi alquanto singolare. E cioè, i cattolici nella vita politica italiana di oggi "contano" quasi nulla, per non dire niente. Tesi singolare perché non c'è quasi forza politica che non dichiari di avere leader che affondano le loro radici nell'area cattolica, o nei valori cattolici o che abbiano avuto una formazione riconducibile alla cultura cattolica.
Ora, delle due l'una. O questi leader politici sono cattolici, e cristiani, – di facciata – oppure nella concreta declinazione politica e legislativa sono sostanzialmente indifferenti, se non estranei ai valori di riferimento. Una riflessione legittima, credo, perché attorno alla risposta a questa domanda riusciamo anche a capire qual è l'incidenza reale e pubblica della cultura cattolica democratica e del popolarismo di ispirazione cristiana nel nostro Paese e, nello specifico, nella politica italiana.
Al riguardo, non c'è alcun dubbio che paragonare la stagione cinquantennale della DC con la situazione contemporanea sarebbe del tutto fuori luogo. Un paragone anacronistico per un semplice motivo: oggi non esiste più, e forse non esisterà mai più, un partito di ispirazione cristiana in cui si riconosce una forte maggioranza dei cattolici italiani. Un partito, comunque, che rifletteva quel contesto storico e che è nato e decollato perché prodotto di quella stagione politica e culturale. Un partito di ispirazione cristiana, di massa, popolare e interclassista, non nasce come un fatto di laboratorio ma perché riflette le esigenze e le domande che provengono dalla società in quel particolare momento storico. Oggi, semplicemente, non esiste né quella domanda né quella richiesta.
In secondo luogo il pluralismo politico dei cattolici è un fatto largamente acquisito e metabolizzato. Certo, come emerge anche da vari documenti ecclesiali, non tutti i partiti possono dire apertamente e pubblicamente che si rifanno ai valori cristiani o che possono sottoscrivere riflessioni e istanze che provengono da settori dell'area cattolica italiana o dagli stessi ambienti ecclesiali. Ma sul pluralismo politico dei cattolici italiani il dato è ormai irreversibile e nulla può renderlo un fatto episodico o revisionabile.
In terzo luogo non esiste più un personale politico con una solida, qualificata e visibile cultura cattolica democratica e popolare. Certo, questo non dipende dai leader politici di oggi né può essere addebitato come una responsabilità personale o collettiva. Semplicemente sono cambiate le modalità di formazione e di selezione della classe dirigente politicamente impegnata. E la presenza dei cattolici nei vari partiti o movimenti si caratterizza prevalentemente sul versante della capacità personale di saper incidere nella legislazione ai vari livelli istituzionali. Senza più strutture organizzate e ferree. Del resto, non solo sono tramontati i partiti identitari sul fronte cattolico, ma sono tramontate anche le cosiddette correnti organizzate all'interno dei partiti. Anche dei partiti "plurali" come il Partito Democratico. Per non parlare di altri partiti dove questa preoccupazione, o questa sensibilità, non è mai esistita. Per fermarsi al PD, è noto che l'area popolare e cattolica democratica che si riconosce in quel partito sin dall'inizio non ha dato vita a correnti organizzate riconducibili direttamente a quel filone culturale. E questo per il semplice motivo che in un partito plurale nato per superare le precedenti identità politiche e culturali, difficilmente può riproporre al suo interno la divisione identitaria e organizzativa del passato.
Tutto ciò non significa arrivare alla conclusione che i cattolici in politica oggi contano poco o nulla. Tutto ciò non significa, ancora di più, che i cattolici contano politicamente solo e soltanto se danno vita a un partito in cui si riconoscono solo cattolici o che declina una politica riconducibile solo a quel patrimonio culturale. Se così fosse, le lancette della storia si dovrebbero riportare indietro di qualche decennio con il rischio di cadere in una nuova e, per certi versi, inedita deriva clericale e confessionale.
Insomma, i cattolici possono "contare" sul terreno della politica e nelle istituzioni anche senza una presenza organizzata nei rispettivi partiti. Il lievito della presenza cattolica, ovviamente laica e pluralistica, può manifestarsi concretamente attraverso le singole scelte politiche e non nella declamazione astratta dei valori e dei principi. Dopodiché, e qui il vuoto da colmare è gigantesco, si tratta di far ripartire una nuova stagione di seria e qualificata preparazione di una nuova classe dirigente di ispirazione cristiana. Su questo versante la responsabilità non è di coloro che si impegnano in politica ma, semmai, di quelli che devono fornire strumenti e modalità per formare una classe dirigente che non sia solo riconducibile a una fresca carta di identità, a una buona performance televisiva o a un’efficace batteria di battute e barzellette. Per quelle non servono né formazione, né studio né spiritualità né approfondimento. È sufficiente la "lezione" berlusconiana. Che, purtroppo, ha contagiato in modo trasversale e profondo ampi settori della società italiana. E non solo quelli di centrodestra. |