Stampa questo articolo
 
La sinistra secondo Matteo
 
di Pierluigi Castagnetti
 

L’anticipazione apparsa domenica 23 febbraio su “Repubblica” del saggio di Matteo Renzi inserito nella nuova edizione di Destra e Sinistra di Norberto Bobbio (Donzelli), è molto utile per capire l’idea di sinistra che ha in testa il segretario del PD. Ne esce un’idea sicuramente innovativa che non mancherà di produrre qualche polemica anche all’interno del PSE nel quale il partito italiano ha deciso di entrare, a mio avviso, purtroppo senza un adeguato approfondimento delle conseguenze sulla propria identità e sul proprio appeal elettorale.
Renzi sostanzialmente allarga la diade bobbiana “uguaglianza/disuguaglianza”, con cui solitamente si distinguono gli obiettivi della sinistra e della destra, ad altre coppie di immagini che possono essere sintetizzate in quella di “innovazione/conservazione”. Il tempo avrebbe reso in qualche modo obsoleta la distinzione tracciata vent’anni fa, quando non era ancora esploso il processo di globalizzazione e quello di informatizzazione della vita privata e sociale.
Il “merito” (il segretario PD ne parla da sempre), ad esempio, non è categoria che la sinistra possa continuare a considerare straniera rispetto alla propria cultura. In questo senso il gioco delle coppie di valori può essere condotto all’infinito: vecchio/nuovo, chiuso/aperto, merito/demerito, ideologia/ postideologia, Novecento/Duemila e chi più vuole più ne aggiunga.
Del resto che vi sia necessità di scrollare la polvere della tradizione dal mobilio usurato della vecchia casa socialista a me pare difficile da contestare, anzi, vi è un giudizio sferzante e calzante dell’astro nascente del PS francese, il ministro Manuel Valls, che condivido e mi permetto riportare senza necessità di traduzione tanto è comprensibile: “Le socialisme… c’était une utopie inventée contre le capitalisme du XIX siècle! Cela ne signifie rien aujourd’hui, dans la globalisation, l’économie virtuelle, la crise écologique!”.
In questo senso non v’è dubbio che il ragionamento del nostro segretario (oggi è anche capo del governo, ma qui ha parlato in nome della prima qualifica) è molto intrigante per la freschezza culturale e può finalmente aprire una discussione seria su cosa significhi definirsi di sinistra oggi.
In tale spirito vorrei fare qualche considerazione.
Innanzitutto dicendo che quella dell’uguaglianza non è originariamente categoria marxista: è noto infatti che Marx sosteneva che «il valore dell’uguaglianza coincide con l’equivalenza di tutti i lavori e poiché i lavori sono umani…» (Il Capitale, I). L’uguaglianza degli uomini, dunque, dopo che sarà realizzata l’uguaglianza dei lavori.
Aggiungo che la categoria dell’uguaglianza, diversamente da quella della giustizia sociale, in un certo momento, quando la sinistra italiana era alla ricerca di un nuovo accreditamento politico, era diventata categoria “difficile” al punto che, quando Ermanno Gorrieri e Pierre Carniti hanno portato i Cristiano Sociali nel PDS al Congresso di Firenze, hanno fatto molta fatica a far inserire anche solo una fugace citazione della parola nel documento congressuale, e ciò fu ragione di forte riflessione (non dirò di ripensamento) soprattutto per il leader modenese riguardo la scelta politica appena compiuta.
L’uguaglianza è sin dall’origine e da sempre, per ragioni teologiche di facile comprensione, parola cristiana, poi nel tempo fortunatamente “conquistata” anche dalla sinistra che, come detto, ne ha fatto uso non sempre coerente e convinto.
Ma l’uguaglianza non è solo una parola, non è cioè un semplice valore paragonabile e sostituibile con altri, è un principio, “il principio” che dovrebbe dare senso alla politica la quale infatti, se non serve a questo scopo, a cosa dovrebbe servire? È un principio inserito tra quelli fondamentali dalla nostra Carta costituzionale, non solo all’articolo 3 dove viene richiamato espressamente, ma prima ancora all’articolo 2 dove si parla dei “diritti inviolabili dell’uomo” che la “Repubblica riconosce e garantisce”: quel verbo “riconosce” dice con nettezza che i diritti dell’uomo sono precedenti la Costituzione stessa, sono iscritti cioè nell’essenza dell’uomo. Perché l’uomo è nato ne è titolare. Perché l’uomo esiste, possiede vari diritti fra cui quello all’uguaglianza.
L’intervento in proposito di Giorgio La Pira – su cui il nostro segretario si è laureato – in assemblea costituente è semplicemente un capolavoro di chiarezza e si direbbe oggi di “non negoziabilità”. Non è principio fungibile con il tema della solidarietà, che invece è valore cui fare ricorso solo successivamente, quando si debba rimediare alle condizioni di ineguaglianza eventualmente determinatesi.
Lo so bene che l’uguaglianza, pur non essendo un’utopia, è principio difficile da realizzare concretamente, per le ragioni espresse e sottintese nel saggio di Matteo Renzi. L’uguaglianza è in effetti un obiettivo mai compiutamente realizzato, una tensione verso e, come tale, non dovrebbe mai essere abbandonato dalla sinistra o anche solo relegato nella teca più preziosa del proprio museo valoriale. J.J.Rousseau ne Il Contratto sociale diceva che, «poiché la forza delle cose tende sempre a distruggere l’uguaglianza, la forza della legislazione deve sempre tendere a mantenerla». In questo senso l’uguaglianza è principio ineludibilmente orientatore di un’azione politica progressista e liberale.
Personalmente ricordo ancora con un certo senso di faticosa nostalgia, l’amicizia di un sacerdote straordinario della mia città, don Alberto Altana, ormai scomparso, che nei primi anni della mia esperienza parlamentare ogni sabato mattina mi attendeva con pazienza sotto il portone del mio studio per farmi le stesse due domande: “Pierluigi vuoi bene ai poveri?”. “Certamente sì” era la mia risposta. “Ma cosa fai per volergli bene?”, e qui la risposta diventava inevitabilmente imbarazzata.
Sette giorni dopo l’esperienza si ripeteva e anche le due domande e, quando alla seconda delle due balbettavo qualcosa del tipo “ho fatto questa interrogazione, questo intervento…”, inesorabilmente lui incalzava: “No, tutto questo lo do per scontato. Vorrei sapere cosa stai facendo in Parlamento per cambiare concretamente la condizione dei poveri, dei carcerati, dei rom, delle vittime della violenza, dei senza lavoro…”.
E così tutte le settimane, al punto che questa vigilanza tanto ravvicinata era diventata il mio tormento e finì per indurre in me la necessità di un esame di coscienza quotidiano, oltreché l’obbligo di produrre iniziative finalizzate da poter resocontare a questo mio santo e scomodissimo interlocutore. Con ciò voglio dire che la politica deve sempre avere uno scopo concreto giusto e i politici, quando si scelgono i supervisori giusti, possono ridurre il tasso di errore e vedere concretizzarsi anche ciò di cui essi stessi dubitavano la fattibilità.
E, peraltro, lo so bene che la politica fa quello che può, che non dispone della bacchetta magica e che, oltretutto, gli effetti delle proprie strategie si potranno vedere solo a distanza di tempo, so bene che essa ha il dovere di stare dentro il tempo che le è assegnato con i mezzi e i linguaggi che le consentono di comunicare con gli uomini contemporanei; ciò detto la politica non dovrebbe mai rinunciare al fastidio quotidiano di interrogarsi: cosa abbiamo fatto oggi per ridurre le ingiustizie e le disuguaglianze?
Per me, dunque, l’uguaglianza, la tensione all’uguaglianza, continua ad essere principio massimamente distintivo per la sinistra rispetto a chi (la destra) ritiene al contrario ineluttabile e persino giusta, almeno una certa misura di disuguaglianza. Inevitabile forse, giusta mai, penso invece io.
Sono discorsi non facili, me ne rendo conto, e con il rischio di degenerare in un certo moralismo. Soprattutto agli occhi di chi non vede il problema. In un appunto di Albert Camus si legge di una sua conversazione con un barbone abitualmente stanziato sotto casa: “Il problema non è che la gente sia cattiva – diceva il mendicante –, il problema è che la gente non vede”.
Ecco, io auspicherei che il nostro ingresso nel PSE, pur deciso con il mio dissenso, fosse occasione per indurre quel partito europeo vecchio e stanco a modernizzarsi, a scrollarsi di dosso ideologismi divenuti arcaici agli occhi di tutti i popoli del continente (come i risultati elettorali purtroppo dimostrano), ma anche a recuperare l’ancoraggio a principi “angolari” (come le migliori pietre) tipo quello dell’uguaglianza. Sarà difficile infatti indurre un cambiamento della strategia economica e finanziaria dell’Unione europea se non ci si lascia guidare da principi solidi come questo, e non solo dalla pur doverosa constatazione dei guai più o meno momentanei.
Se è vero che la strategia “mercantilista” che ha orientato negli ultimi dieci anni il lavoro delle istituzioni europee non si può definire un fallimento, si può però certamente affermare che essa ha prodotto livelli di disuguaglianza e ingiustizia così elevati da suggerire al primo bambino che vorrà alzarsi di denunciare che ormai “il re è nudo”. In quel caso non vorrei che il PSE si mettesse a difendere il re.

(tratto da www.europaquotidiano.it)


A. R. Labanca - 2014-03-25
Lucida analisi. Occorre trovare altri "principi ineludibilmente orientatori" e farli diventare la discriminate chiara fra scelte politiche che risultano opposte nonostante la volontà di amalgamarle con strani ossimori: nei quali cade anche l'autore quando sintetizza l'azione politica "progressista e liberale". Visto l'apparato storico di cui dispone, non può usare (lui ma anche altri) il termine liberale se non riscattandolo dalla tradizione del centro-destra.
Giovanni Pagliero - 2014-03-18
Mi pare assolutamente condivisibile. Fior di economisti documentano come il più notevole cambiamento degli ultimi decenni sia consistito nella crescita della diseguaglianza (e nell'abbandono di fatto del valore dell'uguaglianza, che è cristiano e poi illuminista, assai prima che marxista). Le nuove dicotomie annunciate (vecchio/nuovo chiuso/aperto merito/demerito ideologia/postideologia Novecento/Duemila ) potrebbero appartenere con egual diritto alla (ex?) Destra e agli speculatori della finanza. Non è detto che le furberie e gli eufemismi bastino a rendere "invisibili" i poveri che si moltiplicano intorno a noi...
giorgio merlo - 2014-03-06
Il convinto rottamatore Castagnetti adesso fa le pulci culturali alla sinistra. Perché non la invita ad uscire definitivamente dal Pd? Come teorico del "nuovo corso" lo potrebbe fare. Attendo con ansia quel momento.