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Oltre Berlusconi e Renzi
 
di Giuseppe Davicino
 

Nel recente Rapporto sull'Italia dell'Eurispes è stato presentato in una visione d'insieme quanto emerge da molte altre ricerche, quanto attestano molteplici indicatori e quanto percepisce il sentire diffuso del Paese. L'Italia arranca, siamo in una fase defluente, al boom economico del secolo scorso è subentrato un ben più rapido “sboom”. In soli sette anni di crisi conclamata è cambiata la struttura sociale del Paese. Siamo divenuti una società “dei quattro quarti” nella quale un quarto manco si accorge della crisi, anzi proprio grazie ad essa, può aumentare la sua ricchezza, mentre gli altri tre quarti della popolazione sono sempre più marginalizzati dalla divisione della ricchezza ed indeboliti nella rappresentanza politica. Questi restanti tre quarti sono costituiti in maggior parte da un ceto medio in via di “pauperizzazione”, di un impoverimento senza speranza che sfocia nella povertà, e da un restante quarto di persone che possono essere considerate in una condizione di povertà permanente.
In teoria questa dovrebbe essere una situazione sociale, che proprio a causa delle profonde difficoltà economiche, esalta il ruolo della partecipazione democratica, essendo le istanze di chi a vario titolo “sta peggio”, ormai numericamente di gran lunga prevalenti sulla fetta che si assottiglia sempre più, di chi continua a “star bene”.
Quale momento più opportuno dunque per concludere definitivamente la poco gloriosa e poco concludente stagione della Seconda Repubblica, e per aprire una nuova fase di riforme e di sviluppo? Lo spiraglio apertosi nell'ultimo biennio grazie ad una attenta e saggia lettura della situazione da parte del capo dello Stato Napolitano sembrerebbe sospinto alla chiusura dall'iniziativa dell'attuale segreteria del PD, la quale non è, come vorrebbe, votata al cambiamento, ma costituisce un patto ferreo, e probabilmente disperato e destinato a fallire, di conservazione dei ruderi e dei peggiori difetti della Seconda Repubblica.
Per dirla con il candore di Mario Monti, l'iniziativa di Renzi rischia di fare di Berlusconi un padre della patria. Perché nel momento in cui si parla da capo-popolo in nome dei tre milioni di voti ricevuti alle primarie, come il capo di Forza Italia rivendica i suoi otto milioni di voti, e si sceglie una legge elettorale iper-maggioritaria e senza possibilità di scelta dei candidati al Parlamento, come l’Italicum, non solo ci si dimostra sordi rispetto alle motivazioni con cui la Corte Costituzionale ha censurato il Porcellum ma si sancisce il trionfo e la continuazione del modello berlusconiano.
Si deve essere intellettualmente onesti. O la concezione plebiscitaria e populista della politica di cui per vent'anni è stata portatrice la destra berlusconiana non è condivisibile, oppure se si intende adottare questo cliché anche nel modello di partito e nella visione istituzionale del Partito Democratico, occorre dare a Silvio quel che è di Silvio ed esser consapevoli che il PD renziano sta operando un accanimento terapeutico per tener in vita la Seconda Repubblica. Berlusconi non può che ringraziare (difatti tutti i colonnelli di Forza Italia si profondono in elogi sperticati al segretario del PD) e uscirne culturalmente e politicamente vincitore.
Serve allora una unità di intenti dei Democratici e di tutte le forze riformatrici che per ragioni diverse si oppongono al disegno renziano, tutto volto al passato sul piano istituzionale, liberista fuori tempo in campo economico e pericolosamente neoconservatore in politica estera.
Occorre sin d'ora costruire un progetto di un nuovo centrosinistra che abbia ben diverse priorità: non la blindatura della vita politica verso un sistema basato sul censo e sulla partitocrazia, nel quale i ceti più agiati si auto-cooptano e si spartiscono le briciole di potere che i potentati economici lasciano loro, ma l'apertura della vita politica alla partecipazione popolare, ridando valore alla rappresentanza attraverso il semplice principio che il voto di ciascun cittadino non può essere pesato in modo diverso. Solo attraverso un sistema elettorale che produca un Parlamento di eletti e non di nominati la politica potrà recuperare il ruolo che le spetta di guida e di sintesi anche rispetto a quei poteri economici e finanziari internazionali che ci portano via una fetta cospicua di ricchezza nazionale.
Ma per fare questo occorre sconfiggere il dualismo che sa di vecchio Renzi-Berlusconi e scegliere un modello istituzionale capace di ridare centralità alla rappresentanza dei ceti medi e lavoratori come presupposto per rendere la democrazia forte al punto di reggere le non semplici sfide sociali ed economiche dell'attuale grande crisi.


giuseppe cicoria - 2014-02-14
Concordo su quanti scritto. Purtroppo la ituazione si è troppo incancrenita per colpa della politica e dei politici che hanno quasi distrutto la democrazia in Italia. Essi hanno creato la necessità della ricerca del "salvatore" della Patria distruggendo personaggi di buon livello intellettivo. Ciò ha crato altri danni nel comune sentire perchè oltre al "salvatore" ora è cresciuta le necessità dell'uomo a cui dare tutti i poteri, distruggendo così quel poco che rimane della nostra democrazia. I Popolari devono lottare contro questa pericolosa deriva usando ogni mezzo possibile, enucleando dal loro interno coloro che, per motivi egoistici, si sono geneticamente trasformati. Cari saluti.