Il dibattito sull'irrilevanza politica dei cattolici, che ha caratterizzato gli anni segnati dal declino della loro unità politica, è ripreso quando la crisi della Seconda Repubblica si è fatta più evidente e irreversibile. Tuttavia sino a oggi sono caduti nel vuoto, insieme agli appelli a una “nuova unità”, anche le iniziative organizzate da movimenti e associazioni con l'obiettivo di promuovere l'impegno sociale e politico di una nuova generazione di cattolici al fine di riempire il vuoto lasciato dal tramonto della DC.
Da qualche tempo, sollecitata anche dalle “celebrazioni” del settantennio del Codice di Camaldoli, queste iniziative sono riprese, nella convinzione che stia maturando il tempo per un “nuovo progetto” attorno al quale organizzare la presenza dei cattolici italiani, nella società e nelle istituzioni. In realtà, senza un concreto riferimento alla realtà sociale del Paese e agli straordinari mutamenti avvenuti nella stessa visione della vita, oltreché nella vita economica e in quella sociale, senza una nuova capacità di “mediazione”, che nasce solo da una ripresa dell'impegno culturale, anche queste iniziative sono destinate al fallimento.
Da cosa dipendono infatti queste difficoltà? In primo luogo dalla debolezza culturale di “forum” che, per il timore di essere accusati di restare prigionieri della nostalgia del passato, evitano ogni riferimento alle esperienze del '900 e al rapporto strettissimo che esiste tra il richiamo ai valori cristiani cui si ispira l'azione politica, e il contesto storico nel quale intendiamo mettere alla prova una visione cristiana della vita.
Troppe volte si immagina che questa traduzione dell'ispirazione cristiana in esperienza politica, cioè questa “mediazione”, comporti naturalmente l'unità politica dei cattolici, sia cioè una operazione che ha una forte componente confessionale. Questo nodo è stato sciolto, con straordinario coraggio, da Sturzo, dalla sua affermazione dell'autonomia della politica, e questa componente del popolarismo è stata parte decisiva della politica degasperiana e della sua politica delle alleanze. È ormai consolidata l'opinione che nel '43 a Camaldoli si è avviata una riflessione che ha preparato la nascita della democrazia cristiana, come partito cui affidare la rinascita della democrazia in Italia. Si è trattato di un partito “storicamente determinato” che ha scritto la storia in anni in cui la democrazia doveva resistere al nazifascismo senza cadere prigioniera del comunismo. Non a caso parlando di quel partito si è scritto di un centro che guarda a sinistra, ma anche di “terza via”
È invece assai più debole la riflessione che sinora si è svolta su ciò che ha significato, in concreto, l'esperienza della DC come partito di governo, negli anni in cui si è consolidata l'idea europeista; e si è così consolidata l'opinione che questo partito sia stata espressione della conservazione, sia stato cioè un partito che ha garantito la continuità “possibile” dopo la caduta del fascismo, più che un movimento “rivoluzionario” che si è mobilitato come diga anticomunista, ma anche per realizzare una svolta, una rottura con il passato. Eppure è con la DC che si è parlato, come ho appena ricordato, di “terza via”.
Io penso che proporsi oggi di redigere un nuovo progetto cui riferire una presenza politica all'altezza del tempo che stiamo vivendo, comporta aver fatto, o almeno tentato, un bilancio dell'esperienza politica che ha preso slancio dal convegno di Camaldoli, cioè del “riformismo” cui si sono riferiti il solidarismo e l'interclassismo in anni segnati in tutta Europa dalla cultura keynesiana. E anche dalla nascita delle democrazie cristiane. Sino al punto che si è scritto: “L'Europa è una invenzione della Democrazia Cristiana”.
Quell'orizzonte è profondamente cambiato. Tuttavia anche quando questa riflessione storica sul presente si conclude con l'affermazione che si tratta comunque di una esperienza che si è esaurita, irripetibile nella società contemporanea, da questa concreta esperienza deve partire una nuova iniziativa del cattolicesimo politico, quale che sia il suo obiettivo. E da questo punto di vista, si dovrebbe affrontare anche il difficile rapporto dei “democristiani” con la svolta conservatrice rappresentata dal Partito popolare europeo, senza ignorare perché gli europarlamentari del Gruppo Schuman nel 2004 hanno considerato insostenibile il patto di potere sottoscritto dal PPE con i conservatori britannici, esplicitamente contrari all'Europa politica, e hanno deciso di promuovere un Partito democratico europeo.
Per spiegare il senso della questione da cui si dovrebbe partire, introduco a questo punto una riflessione sulla politica sociale che ha rappresentato per molti aspetti un’interpretazione del progetto di Camaldoli. La lunga e contrastata vicenda della Prima Repubblica, che è segnata dalla centralità della DC, da qualche tempo è processata perché ha lasciato in eredità alle nuove generazioni un forte debito pubblico. Si trascura il fatto che questa fase della storia italiana è stata caratterizzata dal passaggio da una società per due terzi “povera”, a una società che per due terzi è uscita dalla povertà e si è fatta tendenzialmente europea.
Cosa è rimasto di quella politica? La Seconda Repubblica fa temere che il Paese stia regredendo a una situazione sociale ed economica che ricorda l'Italia ereditata dal fascismo. Si può criticamente sostenere che il welfare “democristiano” è stato finanziato con il debito pubblico; ma non si può negare che negli ultimi vent'anni, dopo il tramonto della DC, il debito pubblico è raddoppiato mentre lo Stato sociale rischia di essere smantellato mentre si registra una crescente divaricazione sociale: cresce il numero dei ricchi, ma anche quello dei poveri. Questa inversione di tendenza, questo abbandono di qualunque politica dei redditi, ha a che fare – a mio parere – con la crisi della democrazia rappresentativa, con la crescente ostilità verso la Carta costituzionale del '48 e con l'attacco al ruolo dei partiti. È tornata in campo, ed è presentata come nuova, la vecchia idea della democrazia costruita sulla personalizzazione della politica e sulla concentrazione del potere. Un impasto di autoritarismo e di populismo, che ha influito anche sulla sinistra. Così, anche in incontri che intendono ritornate allo spirito di Camaldoli e dare risposte alla crisi del Paese, si propongano – come espressione del “cambiamento” – strategie che ricordano l'italietta prefascista, dei notabili e del trasformismo, più che gli ideali cui si sono ispirati gli intellettuali cattolici riuniti a Camaldoli alla vigilia dell' 8 settembre del '43, e i giovani partigiani cattolici che hanno sognando un'altra Italia, più giusta e più libera.
Si può ricostruire l'unità politica dei cattolici, senza affrontare questa questione, che ha a che fare con la qualità della democrazia? |