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Europa del calcio, del rigore o dell’unione solidale?
 
di Carlo Baviera
 

I giornali hanno commentato, parlando degli Europei di calcio, ma alludendo col pensiero rivolto all’economia, che l’Italia resta nell’Euro. Anche altri titoli, riferiti soprattutto a Grecia e Germania, giocano su questi aspetti politico-calcistici. E in questa stagione del rigore, dei pareggi di bilancio, di rientro dai deficit e dai debiti, di borse attaccate dalla speculazione, in cui si evidenzia che l’Europa, sognata come nuova Patria e casa comune di tanti popoli finalmente capaci di dialogare e cooperare, è ancora lontana. Gli Europei di calcio, dove le nostre nazioni si “scontrano” e cercano di vincere a danno delle altre, sembra la metafora dell’Unione Europea oggi: siamo un solo popolo, con istituzioni comuni, una moneta comune, ma ognuno pensa alla propria bandiera, alla propria economia, agli interessi nazionali. Con la differenza che nell’Unione Europea non deve (non dovrebbe) esserci un vincitore, uno Stato che batte gli altri e si aggiudica la coppa, e un alloro
di cui andar fiero; in Europa l’obiettivo non è (non dovrebbe essere) la competizione per battere gli altri Stati. L’Europa è stata pensata e costruita, poco alla volta (forse troppo lentamente) per vincere tutti insieme.
La questione è la strategia per vincere tutti insieme. Lo si può fare (forse) annullando diversità e abitudini secolari, accettando l’imposizione del più forte (o più saggio). Lo si può fare imponendo velocità diverse a ciascuno dei 27 Paesi, ma di fatto lasciando che chi è in grado di correre distanzi che fa più fatica. Oppure ritornando allo spirito originario che chiedeva, sì, a tutti di adeguarsi a certi parametri, ma esigeva anche di superare la visione nazionalistica.
C’è chi ritiene che si sia sbiadito il grande progetto dei Padri fondatori del dopoguerra e, soprattutto sia venuto meno lo spirito che quegli uomini e quella generazione hanno avuto. Un economista come Luigino Bruni ci ricorda che quando si è arrivati al nuovo progetto europeo del ‘900 “le sue radici erano profonde: la cattolica, la socialista, la liberale, uno spirito uno e triplice. L’Europa oggi è in crisi non solo per la mancanza di una comune politica fiscale e per i debiti pubblici, ma soprattutto perché sono venute meno queste tradizioni ideali che hanno alimentato nei secoli il suo spirito. Tradizioni che nel sottosuolo sono ancora vive, sebbene le vitalità siano di grado diverso, ma le falde hanno perso contatto con i canali e gli acquedotti, e non dissetano più la terra né i suoi abitanti”.
Il lavoro che servirebbe oggi, ognuno per la sua “squadra nazionale” (cioè per la sua cultura, fede, tradizione), non è solo far riemergere quegli ideali, quello spirito che ha costruito sviluppo economico, democrazia, sistema di welfare, pur con limiti ed errori. Ma anche pensare a una super-nazionale: in altri termini alla costruzione dell’Europa politica, dove si progetti e si rischi non nell’interesse di una nazione, ma per il Continente.
Servono forze politiche europee che si alleino senza compromessi al ribasso, senza isolare il dissenso, ma sappiano superare il solo rigore ed evitare che si scardini la coesione sociale. Anche in Europa è necessario battere nazionalismi, conservatorismi, moderatismo; ci vuole un sussulto di politica nuova che sappia superare l’unione tra soli Stati e Governi per arrivare a una unità (federale) dei popoli, guidata da forze politiche europee che superino le vecchie aggregazioni ideologiche, pur radicate negli ideali e nei valori che, aggiornati, le culture politiche del passato hanno indicato.
E per chi fa riferimento a una cultura politica popolare, la nascita o il rafforzamento di una forza politica che superi le attuali famiglie politiche tradizionali e legate al passato e guidate da posizioni “vecchie”. Si era costituito il Partito Democratico Europeo: non va più bene, non ha attecchito? Si pensi a qualcos’altro, ma si crei un contenitore moderno, con ideali “personalisti e comunitari”, che superi le vecchie ideologie ma resti fedele ai valori democratici, solidaristi, partecipativi, e che riesca a coniugare in senso moderno libertà, fratellanza, uguaglianza.
Per tornare alla metafora calcistica: servono sì buoni atleti, giocate spettacolari e interventi che evitino di prendere gol; ma ancor di più serve spirito di squadra (sentirsi cittadini europei), attaccamento alla maglia (quella azzurra con le 12 stelle a cerchio), e un modulo coraggioso che faccia entusiasmare i tifosi e realizzare la rete decisiva (il progetto per il futuro). E infine serve un azionariato popolare e un settore giovanile: partecipazione popolare e spirito di rinnovamento nella logica della socialità e della giustizia.