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Diciassette correnti nel PD
 
di Giorgio Merlo
 

La notizia apparsa sul “Corriere della Sera” delle 17, o giù di lì, correnti del PD non può passare sotto silenzio. Neanche la vecchia – e sempre più rimpianta – Democrazia cristiana arrivava a tanto. Del resto, 17 correnti denotano che c’è ancora qualcosa che non funziona. Certo, il PD è un partito “plurale” e come tale vive e funziona. Una pluralità che significa convivenza di culture diverse, sensibilità diverse e biografie diverse. Storie che sino a qualche anno fa si sono duramente confrontate e combattute e che hanno trovato nella felice sintesi del PD un compiuto progetto politico e culturale. Mi riferisco in particolare al filone del cattolicesimo sociale e alla tradizione della sinistra democratica del nostro Paese, da quella ex comunista a quella socialista e liberale. Filoni articolati al proprio interno ma comunque riconducibili ad un nucleo omogeneo, che hanno contribuito in modo determinante alla crescita e al consolidamento della democrazia italiana.
Ciò premesso, com’è possibile che la correntizzazione del PD sia diventata così estesa, se non addirittura imbarazzante? Si tratta di correnti di idee o correnti di potere, per usare una vecchia terminologia? Si tratta di correnti legate a una persona – e quindi politicamente deboli – oppure a diversità che richiedono organizzazioni diverse, elaborazioni diverse, convegni distinti e riviste separate? Se così è, allora c’è da chiedersi se può reggere un partito tanto articolato e ostentatamente plurale? Certo, un partito così organizzato non è accusabile di essere il “partito del leader”. Cioè, il PD non sarà mai un partito “padronale”. E questo è certamente un bene che distingue il PD da quasi tutti gli altri partiti italiani, tanto di centrodestra quanto di centrosinistra. Un esempio di democrazia e pluralismo da non sottovalutare. Ma questa considerazione non può essere funzionale alla creazione di una ventina di correnti che rischiano solo di generare confusione e disorientamento.
Come, d’altro canto, non si può non denunciare il profondo malcostume – politico, ovviamente – di dar vita a 4-5 correnti generazionali. Neanche nei momenti di maggior crisi politica dei partiti della prima Repubblica abbiamo assistito alla moltiplicazione di svariate correnti generazionali. Oltretutto correnti di persone che gravitano intorno ai 40 anni e che hanno, almeno i leader di queste aggregazioni, già maturato una forte professionalità politica fatta di incarichi di partito e istituzionali. Insomma, un personale politico professionistico molto raffinato che coltiva ambizioni non secondarie. È appena sufficiente ricordare che i rispettivi capi di queste correnti – che si ritrovano in convention separate, con organizzazioni separate e con pubblicazioni altrettanto separate – coltivano l’ambizione di ricoprire incarichi di primissimo piano: dalla candidatura a Premier della futura coalizione di centrosinistra alla segreteria nazionale del partito. Ambizioni, sia chiaro, del tutto legittime e persin naturali in politica. Ma almeno si abbia il buon gusto di non decantare come profondo rinnovamento operazioni di potere che partono dalla carta di identità come elemento determinante e finiscono, da copione, per avere solo obiettivi di posti e poltrone.
Anche le 4 o le 5 correnti generazionali evidenziano un difetto che va affrontato e corretto, pena una frammentazione che prima o poi può esplodere. E per evitare che la moltiplicazione delle correnti proceda così freneticamente – che siano di potere o di ideali poco importa – serve una guida politica forte e incisiva. Bersani ha dimostrato in questi anni di conduzione del partito uno spiccato buon senso e una moderazione che è stata utile nel governare un soggetto politico ancora molto frastagliato e articolato al suo interno. Ma, nel momento in cui il PD si candida a governare questo Paese in quanto perno dell’alternativa al centrodestra, non è possibile tollerare una girandola di correnti che possono indebolire la leadership e rendere vulnerabile la stessa prospettiva politica del partito. Del resto, è difficile scorgere nelle grandi tradizioni culturali che hanno dato vita al PD un ventaglio così ampio di posizioni politiche. La cultura cattolico democratica o popolare, ad esempio, non può articolarsi seguendo la carta di identità o le singole leadership personali. Se così fosse, saremmo di fronte alla semplice sconfitta della politica.
Insomma, l’eccessiva correntizzazione del PD può essere interpretata come una fisiologica “crisi di crescita” ma non può diventare un elemento costitutivo dell’identità del Partito democratico. Perché la cronica divisione del partito può essere l’anteprima di una spaccatura destinata a trasformarsi in scissione e in conseguente perdita di autorevolezza politica.


Claudio Lussana - 2011-11-10
Mi piacerebbe veramente che ci fosse un "posto" in politica dove i CATTOLICI si possano ritrovare che non fosse ne troppo "partitistico" ne troppo"ecclesiale" ricordandoci tutti il significato della parola "cattolici"... Grazie per lo spazio