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Costituzionalisti e referendum
 
di Alessandro Risso
 

Nella presentazione dei due documenti sottoscritti dai costituzionalisti che si schierano per il NO e per il SI’ al referendum costituzionale, ho espresso alcune considerazioni che sono state giudicate da alcuni amici eccessive, irrispettose e faziose. Non volendo appesantire troppo una semplice introduzione alla lettura dei documenti, ammetto di aver cercato una sintesi che si è rivelata eccessivamente cruda, in quanto mancante di alcuni presupposti che sono necessari per valutare appieno i due documenti. Colmo adesso questa lacuna, spiegando meglio il mio pensiero e rispondendo almeno in parte alle obiezioni ricevute.

Chi ha esperienza amministrativa o di partito – quindi buona parte di chi mi sta leggendo – sa bene che di un documento politico, oltre al contenuto, vengono attentamente considerate le firme: di chi c’è e, in certi casi, anche di chi manca.
Il documento dei costituzionalisti che ritengono complessivamente negativa la riforma ha raccolto 56 sottoscrittori. Alcuni nomi mi erano noti, altri no. Mi sono stupito dell’assenza tra i firmatari di un amico costituzionalista dell’Ateneo torinese, che so essere convintamente sulla stessa linea. È stato lui stesso a spiegarmi che i cinquantasei sono tutti professori ordinari, alcuni emeriti, tra cui 11 ex presidenti della Consulta. I promotori del documento hanno pensato di non coinvolgere né professori associati né ricercatori in Diritto costituzionale: si sono preoccupati di non mettere in imbarazzo colleghi più giovani che devono ancora salire nella carriera universitaria e che potrebbero un domani trovarsi di fronte qualcuno degli ordinari in commissione di valutazione. Questa scelta ha così evitato adesioni forzate o dettate da valutazioni opportunistiche, impedendo tuttavia ad altri convinti (tra cui il mio amico) di aderire al documento.
Ben diversa la strategia dei promotori del documento favorevole alla riforma: per arrivare a 184 firme sono stati interpellati senza problemi associati e ricercatori, che rappresentano il grosso degli aderenti. Certamente potranno anche essere tutti convinti della bontà della revisione costituzionale approvata, ma in ambiente universitario si raccolgono voci su presunte pressioni rivolte a docenti precari perché firmassero. Voci fondate? Falsità? Non possiamo saperlo. Di sicuro la scelta degli accademici per il NO ha evitato in partenza questa ambiguità.
E poi, esiste chi si sente di escludere che qualcuno tra i docenti universitari appartenga al novero ampio, variegato e trasversale di chi si fa guidare nelle scelte da valutazioni di opportunità e convenienza personale?
Ho ricordato che nel 1931 solo 12 professori su 1250 anteposero le proprie idee a comprensibili ragioni di opportunità e buon senso, che consigliava di giurare fedeltà al fascismo per mantenere il proprio lavoro e ruolo. Altri tempi, certo. Ma chi può dire che opportunismo e servilismo non sono mali evidenti anche della stagione che stiamo vivendo?

Spero con questo scritto di aver meglio precisato quanto avevo cercato di sintetizzare in poche righe nel precedente intervento, generando qualche critica. Vorrei almeno essere riuscito a far svanire l’irrispettoso, che non mi appartiene per educazione e cultura. Invece, è proprio la cultura storica che mi porta a cercare nel passato qualche risposta alle inquietudini del tempo presente. Se a qualcuno paiono esagerazioni, pazienza. Preferisco sempre una preoccupazione in più alla sottovalutazione di un rischio.
Infine, so bene che non sarà facile condurre il dibattito sulla riforma costituzionale, avendo maturato sul tema delle convinzioni profonde. Ne parlavo un paio di mesi fa al telefono con Guido Bodrato, che mi disse: “Il referendum costituzionale è per sua natura un argomento destinato a dividere. Ma non per questo dobbiamo evitare di parlarne o abdicare dalle nostre convinzioni”.


Giuseppe Davicino - 2016-06-13
Ho apprezzato la franchezza e il coraggio di Alessandro Risso. La sua opinione appare ben argomentata e niente affatto irriguardosa verso chicchessia. Quegli accademici che si sono pubblicamente schierati sul referendum costituzionale su entrambi i fronti devono mettere nel conto condivisioni e critiche, come qualsiasi cittadino che fa politica. Se la stessa franchezza fosse usata anche negli altri temi della politica, forse avremmo meno camerieri delle grandi banche d'affari e più politici capaci di rappresentare le istanze popolari e con ciò di svolgere un prezioso servizio per la democrazia, e di erodere il terreno sul quale marciano le forze populiste, anche a Torino.
Rodolfo Buat - 2016-06-13
Fra i 12 professori che non giurarono ci fu Francesco Ruffini di Borgofranco d'Ivrea, del quale suggerisco la lettura "La libertà religiosa" edito da Feltrinelli, una delle poche letture che cambiano il modo di vedere la storia. Sul tema, ricordo che il fascismo di affermò senza una maggioranza parlamentare. Non furono le istituzioni a favorirlo, ma l'assenza della politica.
giuseppe cicoria - 2016-06-13
Rispetto le scandalizzate opinioni di qualcuno. Esse hanno fatto molto rumore. Io sono, però, d'accordo con il Presidente Risso. Mi aspetto che altri, e spero siano molti, scrivano supportando moralmente il nostro Presidente e le sue sacrosante considerazioni. Bisogna smettere di tapparsi gli occhi per non vedere. Meglio essere pessimisti che ottimisti a tutti i costi. Ciò favorisce coloro che vogliono distruggere la nostra democrazia.