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Il centrodestra non c’entra con il PD
 
di Giorgio Merlo
 

Il capitolo delle alleanze, soprattutto in vista della ormai prossima consultazione amministrativa, è destinato, ancora una volta, a dominare il dibattito politico. E questo non solo perché in un sistema elettorale a doppio turno la coalizione è uno degli elementi centrali del confronto in vista della vittoria ma anche perché, proprio sul tema delle alleanze, si rischia di dar vita a una nuova, l'ennesima, stagione trasformistica della politica italiana.
Nello specifico, se il nuovo corso del PD si ispira ed è riconducibile alla cosiddetta "vocazione maggioritaria" di veltroniana memoria, è indubbio che proprio attorno al tema delle alleanze si consuma un confronto alquanto confuso se non contraddittorio.
In sintesi, la linea del PD era e resta quello di riconfermare una prospettiva di centrosinistra. E se la prospettiva è quella, è persin ovvio ricordare che qualunque ipotesi che preveda alleanze o accordi con formazioni politiche – o civiche – di centrodestra dovrebbero essere, di fatto, estranee ed esterne alla stessa prospettiva del PD.
Certo, la nascita di "Sinistra italiana" indubbiamente non aiuta a consolidare una rinnovata e aggiornata coalizione di centrosinistra. Basti pensare che questa nuova formazione politica, che assumerà le sembianze del partito a partire dal prossimo febbraio, si pone come alternativa politica e programmatica allo stesso PD e alla sua attuale guida politica. Ma è pur vero, tuttavia, che un rinnovato centrosinistra non è solo una grigia sommatoria di sigle e di partiti ma anche, e soprattutto, la capacità di dar vita ad una coalizione che sia larga e inclusiva di tutti quei movimenti "civici" che storicamente sono riconducibili ad una prospettiva riformista, democratica e progressista. Questa impostazione, com'è altrettanto ovvio, non prevede un allargamento – vero o mascherato che sia non fa alcuna differenza – con formazioni di centrodestra. È una tentazione che rischia di farsi largo proprio in una stagione politica come questa, dove la coalizione di centrodestra, di fatto, è ridotta a una sorta di cartello elettorale privo di strategia, di unità e di prospettiva. Se non quello di unire sotto una stessa sigla forze e movimenti che hanno vissuto una stagione gloriosa e che adesso subiscono gli effetti di una rapida e prevedibile dissoluzione. A cominciare dalla sua "storica leadership". In attesa, come sempre capita in politica, di una "ripartenza" con una nuova leadership, un nuovo programma di governo e nuove alleanze. In attesa, però.... Nel frattempo, prevalgono i posizionamenti, i tatticismi, le fughe e i movimenti trasversali. È quello che sta avvenendo a Torino ma che si replica un po' in tutta Italia. In particolare, e come da copione, nel Sud del nostro Paese.
Io credo, al riguardo, che la posizione del PD debba essere chiara e inequivocabile. E cioè, se la prospettiva resta quella di centrosinistra, è ovvio che i collegamenti anomali e singolari con pezzi di centrodestra in libera uscita non possono essere all'ordine del giorno. Come, del resto, con altre formazioni politiche che perseguono, almeno sulla carta, disegni e strategie alternative a quelle percorse dal PD. E, al contempo, si deve fare il possibile affinché pezzi – seppur sparsi e disomogenei – riconducibili alla galassia di centrosinistra stringano accordi con il PD in vista della
costruzione di coalizioni vincenti al primo o al secondo turno delle prossime amministrative.
Certo, mi rendo conto che il capitolo delle alleanze e delle coalizioni possa apparire un tema eccessivamente ingegneristico e arido. Ma è pur vero che anche dalla costruzione delle alleanze e delle coalizioni emerge il profilo politico, culturale e programmatico di un partito. Nel caso specifico, del PD.
Almeno su questo versante non c'è alcuna differenza tra la prima, la seconda e la potenziale terza Repubblica.


Umberto Cogliati - 2015-12-29
Con questo editoriale Giuorgio Merlo solleva un tema, anzi, più temi, tutti riconducibili a due esigenze non sempre conciliabili: il carattere politico (nel caso il centrosinistra) di una maggioranza di governo e la governabiità. A prova di resistenza su cosa scegliere dapprima, e solo dopo pensare alla seconda, è la governabilità, e se la mettiamo per prima viene di conseguenza che la seconda deve indulgere alla prima. Ma il nostro Paese vive l'eterna contraddizione di volere la governabilità ma anche di amare il proporzionalismo. Così non funziona, e la scelta del sistema elettorale Italicum fa giustizia (teorica) del dilemma iniziale, il quale genera un dilemma "fratello": vincere le elezioni per governare o rischiare di perderle per non aprire alla coalizione di partiti. Così la scelta dell'Italicum dovrebbe parare il rischio che sta vivendo in questi giorni la Spagna, ossia generare un governo che non dura. Poi, ma il discorso è lungo, quale PD si vuole. E' un fatto che il pullulare di nuove formazioni (cespugli) a sinistra del PD non aiutano a rendere quel partito come, giustamente, lo "vorrebbe" Merlo. Ci sarebbe da chiedersi, con tutto il rispetto, cosa pensano di ottenere e con quale strategia. Mah.