Stefania PISANO - 2015-09-22
CATTOLICI E POLITICA
Non possiamo pensare che i valori evangelici siano “impolitici”, cioè non traducibili storicamente in progetti, orientamenti e ideali ispiratori della politica; non si può accettare nemmeno la variante più subdola di questo pensiero, che si manifesta nell’affermazione che questi sarebbero “tempi sfortunati” per il vangelo. Il tempo del vangelo è adesso. Altra cosa è il giudizio storico sui cattolici impegnati in politica o su un partito che si ispira, in tutto in parte, al cristianesimo.
Tutte le volte che, a partire dal dopoguerra, i cattolici hanno pensato in grande, il loro contributo è risultato straordinario: basti ricordare la costituzione italiana e il primo disegno europeo. Negli ultimi decenni, purtroppo, non mi pare di aver visto grandi capacità di volare alto, né i cattolici presenti nei diversi schieramenti hanno gareggiato molto nello stimarsi a vicenda. Uno stile diverso oggi avrebbe potuto offrire un contributo importante a uscire dallo stallo in cui siamo. La comunità ecclesiale, nel suo complesso, non ha vissuto positivamente la fine della Democrazia Cristiana e soprattutto il passaggio al bipolarismo. In molti casi, il timore che le divisioni potessero produrre, in modo quasi retroattivo, una sorta di “bipolarismo ecclesiale”, ha portato i cristiani a tenersi lontani da tutte le questioni concrete, relative alla fede nella politica e nella storia. Il risultato è stato un progressivo svuotamento del dibattito culturale, sociale e politico, mentre le comunità si sono concentrate sulla gestione pastorale, accontentandosi di coprire gli spazi vuoti con eventi o con richiami di principio al magistero sociale. Papa Francesco ha detto in un incontro, qualche tempo fa, a un’assemblea di religiose (“Siate madri e non zitelle”) credo si possa estendere all’intera comunità ecclesiale, cogliendone bene il contenuto profondo:la frigidità e sterilità vanno di pari passo anche nella vita spirituale. Ed è inutile coprire il deficit di fecondità con appelli insistiti e acidamente moralistici. Forse dobbiamo imparare ad articolare la comunione in forme più dialogiche e vive, attraverso esercizi diffusi di discernimento comunitario, che rappresentino il primo passo verso una maggiore attenzione alla salvaguardia del “pavimento etico” comune e al valore dell’impegno politico. A un secondo livello, poi, bisogna praticare forme “leggere” e rispettose di accompagnamento spirituale dei cattolici impegnati in uno schieramento. Non possiamo dire che i cristiani debbono impegnarsi e quando ciò accade trattarli come bambini o, peggio, allontanarli come appestati.
Il compito di tenere insieme fede e storia non autorizza il cristiano ad agire superficialmente, ad accontentarsi di atteggiamenti evasivi, a considerarsi esonerato per principio dal dovere della competenza. In secondo luogo, non è un cristiano autentico chi pensa di salvare se stesso chiudendosi in modo autoreferenziale dentro il proprio gruppo e dimenticando l’appello conciliare all’unica famiglia umana. Infine il cristiano non deve lasciarsi accecare dalla miopia: guardare lontano è l’unico modo per restituire all’impegno storico la passione degli orizzonti aperti. E’ necessario guardare “Oltre”. La responsabilità politica esige che si rispettino correttamente i valori interni alla dialettica democratica, senza però illudersi di poterla sospendere in un limbo neutrale. Entrare dentro, insieme, senza restarne prigionieri. Il cristiano è credibile quando rispetta l’intera gerarchia dei valori umani.
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