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Ma chi sceglierà i candidati?
 
di Giorgio Merlo
 

Attorno alla legge elettorale, come da copione, si sviluppa un dibattito interminabile, complesso e autoreferenziale. Un dibattito estraneo all’interesse del cittadino medio, del tutto indifferente al premio di maggioranza, ai vari modelli esterofili, allo sbarramento di partito o di coalizione e, soprattutto, ai cavilli che ogni partito escogita pur di fregare gli avversari e pure gli alleati.
Ma c’è un aspetto, concreto e tangibile, che interessa larghi settori della pubblica opinione in merito alla legge elettorale: come si eleggono i parlamentari. Ognuno lo può sperimentare direttamente. Quando si affronta questo tema nel bar o in piazza o in una bocciofila, seppur distrattamente, il cittadino normale è abbastanza informato sul tema in questione. E vuole scegliersi direttamente i propri rappresentanti in Parlamento.
Perché questo è, da sempre, il vero pomo della discordia tra i vari partiti. Ora, tutti noi sappiamo che molto dipende dal sistema elettorale prescelto. Se passano la preferenza o le preferenze il cittadino può scegliersi direttamente i propri parlamentari. Ma tutti conosciamo le critiche che si trascina dietro la preferenza: voto di scambio, potenziale ritorno della corruzione, costi elevatissimi per la campagna elettorale e conflittualità fortissima tra i vari candidati perché i veri avversari sono all’interno del partito. Se si opta per il collegio uninominale, gli elementi degenerativi della preferenza cessano di esistere. Come abbiamo visto quando c’era il “mattarellum”, con collegi piccoli uninominali, il cittadino elettore può conoscere i candidati in lizza, sentire cosa pensano e, soprattutto, vedere l’eletto come il vero rappresentante del territorio. E lì si possono fare tranquillamente le primarie aperte per scegliere il candidato. Se invece, in ultimo, prevale la lista bloccata – che sia lunga o corta non fa alcuna differenza – la scelta dei candidati è affidata ancora una volta ai segretari di partito e la decisione non può che essere centralistica.
È inutile inventarsi regole che poi, puntualmente, non vengono applicate. È sufficiente volgere lo sguardo alle recenti elezioni del 2013. Tutti i partiti, in vigore il “porcellum”, hanno designato centralisticamente i propri candidati. Tranne il PD e il movimento di Grillo. Ma anche questi partiti hanno fatto una scelta singolare. Il PD ha scelto di fare primarie che molti hanno definito “farlocche”. Tra il Natale e il Capodanno del 2012 è stato fatto un regolamento di corsa e, con regole discutibili sono stati scelti i parlamentari. Salvo poi scoprire che quasi 200 eletti tra deputati e senatori non hanno fatto le primarie perché, per loro, è stata scelta la corsia della designazione centralistica. Appartenenti a tutte le parrocchie, nessuno escluso. Sostanzialmente una carnevalata. Del movimento di Grillo è meglio tacere per pudore.
Ora, se l’intesa tra Renzi e Berlusconi regge e si approva finalmente una nuova legge elettorale, ritorna puntualmente il listino bloccato. Molte sono le ipotesi in campo. Alcune sono ridicole se non grottesche. Come quella di fare una legge sulle primarie che dovrebbe disciplinare la scelta dei candidati. Salvo scoprire che quella legge sarebbe facoltativa per l’applicazione da parte dei vari partiti. E allora la legge a che cosa serve? Mistero. Altri propongono di indicare i primi della lista bloccata dai partiti e per gli altri eleggerli con le preferenze. Altri ancora – in particolare il PD - dicono che occorre fare le primarie per tutti. Salvo poi scoprire che un terzo o i due terzi verranno designati dalla segreteria centrale. Come è già capitato, appunto, per le elezioni del 2013.
Ecco perché serve adesso una parola chiara su come sarebbero scelti i candidati per la composizione delle varie liste. E questo a prescindere dalla legge che sarà votata dal Parlamento. Basta con le furbizie come recitare “primarie per tutti” quando sappiamo bene che così non sarà. E basta con la ripetizione ossessiva che saranno solo e soltanto i cittadini a scegliersi i propri rappresentanti quando molti partiti, se non tutti, lavorano perché accada l’esatto contrario.
È arrivato il momento, anche e soprattutto per il PD, di essere chiari. Sul come si eleggono i futuri parlamentari – visti i guasti del “porcellum” – si gioca la partita politica più delicata. Basta però riaffermare solenni pronunciamenti – come quello di restituire al cittadino la potestà di scegliersi i propri rappresentanti – e poi agire in direzione opposta e contraria. Questa volta le furbizie hanno le gambe corte.


Giorgio merlo - 2014-01-31
E' francamente difficile contestare le tesi argomentate e fondate dell'amico Ladetto. Se il tutto si riduce alla fretta e al decisionismo, allora "tutto va ben madama la marchesa". E chi dissente o dibatte "mette i bastoni fra le ruote" e " rivuole la palude". Il tutto condito che e' da "20 anni che non fate nulla". Benissimo. Il miglor distillato della cultura di destra e della demagogia berlusconiana.
Giuseppe Ladetto - 2014-01-31
Sono d’accordo con quanto scrive Giorgio Merlo sulla necessità di consentire ai cittadini una effettiva scelta dei candidati. Ritengo tuttavia che si conceda troppa attenzione, nel dibattito politico e mediatico, a questo aspetto mettendo in secondo piano tutti gli altri connotati dell’”italicum”. Sento ripetere che per anni non si è fatto niente per modificare il “porcellum”e che oggi, quando finalmente un accordo innovativo e coraggioso disegna una nuova legge, c’è chi si oppone. Si tratterebbe, si lascia intendere, di conservatori che vogliono lasciare le cose come stanno. Affermazione falsa perché la realtà è diversa. Il “porcellum” è stato cancellato dalla Corte costituzionale che ha lasciato in piedi una legge elettorale emendata dai difetti gravi di quella ieri vigente. Oggi, con l’accordo Renzi-Berlusconi, si tenta di rimettere in campo un “porcellum” più o meno formalmente ritoccato. Restano in piedi tutti gli elementi negativi della vecchia legge: premio di maggioranza abnorme (ulteriormente esaltato dall’eventuale ballottaggio), non scelta dei candidati, soglie di sbarramento diversificate tra chi è in coalizione e chi no. A ciò si aggiunge un innalzamento delle soglie di sbarramento che non ha uguali in Europa (se non in paesi di democrazia fragile): l’8% di soglia corrisponde a tre-quattro milioni di voti (a seconda dell’affluenza alle urne): non certo un’inezia. In un dibattito televisivo, ho sentito dire da un parlamentare (purtroppo del PD) che qui si tratta di scegliere tra rappresentatività e governabilità, come se la rappresentatività fosse un qualche cosa di secondario. Bobbio ci ha detto che la democrazia o è rappresentativa o non è democrazia, e che ci vogliono più partiti con la possibilità di crearne sempre dei nuovi. La governabilità è un elemento da tenere in conto, ma le misure a suo favore debbono restare entro i confini della rappresentatività (come accade in Germania). Nel 1953, al tempo del varo della cosiddetta “legge truffa”, avevo 15 anni, ma leggevo i giornali e mi interessavo di politica (allora anche i ragazzini lo facevano). Ricordo i cortei, le manifestazioni e gli scioperi contro la legge. Ricordo le foto sui giornali degli scontri fisici, con tanto di botte, tra i deputati in Parlamento (con Paietta che assaltava i banchi del Governo). E si trattava di un premo del 15% a chi raggiungeva il 50% dei voti più uno (quindi già una maggioranza reale). Oggi di fronte al mostriciattolo partorito dall’accordo, mi sembra che ci sia disinteresse o rassegnazione. Ci avviamo a diventare una “democrazia matura” come quelle dove la gente non si reca più alle urne.