Il voto dei cattolici parla ai Popolari



Alessandro Risso    10 Gennaio 2023       5

Per dare ulteriore linfa al dibattito promosso dai Popolari piemontesi sul ruolo dei cattolici democratici nella politica di oggi – riproposto con vivacità di posizioni dopo l’adunata romana convocata da Pierluigi Castagnetti tra coloro che si riconoscono ancora nel PD – merita soffermarsi sulla ricerca dei flussi elettorali effettuata dopo le elezioni politiche del 26 settembre scorso dall’Istituto di demoscopia Ixé. Una parte del sondaggio riguarda il voto per pratica religiosa, e rivela dati interessanti. Va premesso che per noi Popolari, eredi di Luigi Sturzo, la laicità è un cardine del pensiero e dell’agire politico. Ma i comuni riferimenti a valori di fede e agli insegnamenti della Dottrina sociale fanno individuare nel laicato cattolico un elettorato di riferimento per chiunque voglia fare politica partendo da quelle radici.

Nella nuova ricerca ritroviamo in buona parte trend analoghi al sondaggio che l’Ipsos di Pagnoncelli fece dopo le europee del 2019: il voto medio degli italiani non si discosta nettamente dal voto dei cattolici praticanti (anche perché si definisce tale un terzo della popolazione), ma emergono alcuni scostamenti significativi.

Il primo riguarda la partecipazione al voto: l’astensionismo è stato del 3,5% superiore alla media (39,6 contro 36,1), un dato che replica quanto già accaduto in forma ancora più accentuata alle ultime europee. Se ammettiamo un più forte senso di comunità dei credenti, che si traduce il un più forte senso civico, non possiamo che ritenere questo dato un consapevole rifiuto di quanto offre oggi il palcoscenico della politica. Un astensionismo “di testa”, e non “di pancia”, di cui ciascuno può avvertire la crescente diffusione nel proprio cerchio di conoscenze.

Vediamo ora le scelte di chi è andato a votare. I partiti del centrodestra hanno tutti ottenuto risultati superiori al dato nazionale: Fratelli d’Italia 29,6% (+3,5), Lega 11,6% (+2,8), Forza Italia 10,7% (+2,6), Noi Moderati 1,8% (+0,9). La somma degli incrementi fa quasi il 10%, uno scostamento importante ed eloquente: l’elettorato cattolico tradizionalista e arroccato alla difesa della morale (i “sinceramente conservatori” di Sturzo) trova un’ampia scelta di proprio gradimento.

Come è stata accolta la novità del cosiddetto Terzo polo? Esattamente come tutti gli italiani, al 7,8%. Quindi, la proposta “centrista” e “moderata” targata Calenda-Renzi, se non è stata bocciata, non è neppure stata promossa dal voto cattolico, forse anche per l’insistenza sui caratteri “repubblicano” e “liberale” e la (voluta?) dimenticanza della cultura “popolare”.

Passando al Movimento 5 Stelle, il populismo grillino viene penalizzato dai cattolici con il 12,5% (-2,8), e anche il populismo no-vax di Paragone con la sua Italexit perde lo 0,2% (da 1,9 a 1,7).

Ed ora il campo progressista. Impegno civico della strana coppia Tabacci-Di Maio ha preso lo 0,2 rispetto al già fallimentare 0,6%; Sinistra italiana e Verdi scendono dal 3,6 all’1,7% e – direi ovviamente – così fanno i consensi a +Europa dal 2,8 all’1,2%. Il PD perde quasi il 2% (da 19,1 a 17,2).

Se rapportiamo queste percentuali al totale degli aventi diritto al voto e arrotondiamo all’unità, nelle politiche 40 cattolici su 100 non sono andati a votare (e nel sondaggio non sono state considerate bianche e nulle, che incrementano il non voto). Dei 60 recatisi alle urne, 32 hanno scelto il centrodestra (17 FdI, 7 la Lega, 7 FI, 1 NM); 5 hanno votato per Calenda-Renzi, 8 per i Cinquestelle, 1 per Paragone; a sinistra, 1 votante per SI e Verdi, meno di 1 ai radicali di +Europa, 10 al PD. Completano il quadro i 2 che hanno votato per altre liste non meglio definite.

Questa lettura dei numeri del voto – assolutamente corretta ma così diversa dalla cantilena dei media che ignorano completamente la realtà e il significato politico dell’astensionismo – ci può essere utile per comprendere quale dovrebbe essere la strada da seguire per coloro che volessero rilanciare, in un contesto pur così difficile, la proposta dei “liberi e forti”.

Escludiamo dai ragionamenti i clerico-conservatori, i cattolici di destra che sono sempre esistiti in Italia, in Europa e oltre Atlantico, in quanto la loro storia lontana e recente è al di fuori del popolarismo, il progetto che Sturzo creò per attivare politicamente i “sinceramente democratici”, attenti alle istanze dei più umili e portatori di proposte per trasformare la società liberandola da mali atavici e nuovi. La divisione in due del mondo cattolico va acquisita come un dato di fatto: la stagione della DC, che riuscì a mantenere compatto dietro lo scudo crociato quasi tutto il mondo cattolico, è stata il frutto irripetibile dell’epoca della Guerra fredda. Anche i pochi che vagheggiano il ritorno di un partito “dei” cattolici sono di fatto interlocutori inutili, in quanto fuori dal mondo.

Guardiamo invece ai cattolici democratici, attenti alla solidarietà e alla giustizia sociale. Il sondaggio è impietoso per quelli impegnati nel Partito Democratico o che vi guardano come un riferimento obbligato. Siamo realisti: l’elettorato cattolico che si riconosce nel partito è limitato al 10%. La grande maggioranza dei fedeli democratici e solidali, se non vota i Cinquestelle o il duo Calenda-Renzi, si astiene dal voto. Vogliamo ammettere che il PD risulta poco credibile anche per i cattolici progressisti? Vogliamo prendere atto del suo fallimento come “casa comune dei riformisti”?

In un editoriale di tre anni fa (CLICCA QUI) ne elencavamo i motivi: “la ‘fusione a freddo’ che non ha saputo creare una comunità politica coesa, la ‘vocazione maggioritaria’ che ha preso il posto della cultura delle alleanze, il bipolarismo muscolare che ha eliminato il confronto e ridotto la politica a una guerra al “nemico”, il cinismo (“Enrico stai sereno”) e l'incoerenza eletti a virtù, la deriva leaderistica con toni populisti, il ‘partito liquido’ che ha perso contatto con i territori, il rapido adeguarsi a logiche di recesso democratico (riduzione del voto, premi di maggioranza abnormi, “nominati”...), l'abbraccio acritico alla cultura dominante di stampo individualista, l'abbandono dei corpi intermedi, l'enfasi sui benefici della globalizzazione, l'incapacità nell'opporsi alla perdita di dignità del lavoro, il vuoto ottimismo nelle ‘magnifiche sorti e progressive’ senza accorgersi dell'impoverimento dei ceti medi e popolari”. La confusa segreteria di Enrico Letta – un ex Popolare, ahinoi... – ha ancora peggiorato le cose.

A Rodolfo Buat, amico dai tempi del Movimento giovanile DC, che lamenta (CLICCA QUI) i toni polemici che ho usato verso “i nostri amici nel PD (…) nel momento in cui (tentano) di riproporre un’attenzione ai valori e alle posizioni del cattolicesimo democratico”, non posso che ribadire un dato di fatto: il progressivo deragliamento del progetto PD – di cui gli aspetti negativi sopra elencati sono di tutta evidenza lontani dal popolarismo – è avvenuto senza che i rappresentanti della nostra cultura politica all'interno del partito abbiamo fatto qualcosa di significativo per opporsi, per invertire la rotta, adattandosi di volta in volta, digerendo tutto in silenzio, anteponendo la salvaguardia dei destini personali alla coerenza politica. Ma così facendo la nostra cultura è regredita nell’irrilevanza e, purtroppo, ha ragione Trinchitella a ritenere che per Castagnetti & C. il tempo sia scaduto da mo. Anche le posizioni dei singoli, che hanno giocato e giocano ognuno una partita personale, sono sempre più deboli e a rischio. Nel dibattito post elezioni organizzato a Torino dai Popolari piemontesi, l'unico che ha gridato la propria indignazione per la scelta del PD di rimuovere Stefano Lepri dal collegio di Torino sud – dove vive, ha fatto e fa attività politica conquistandosi sul campo per due volte l’elezione in Parlamento – per far posto al “paracadutato” romano Magi, il radicale presidente di +Europa, è stato chi scrive, che da questo PD se ne andò a fine 2013. Sembra che tutti si siano assuefatti a una realtà ineluttabile…

Non c’è futuro per i Popolari nel PD. A meno di fare come Franceschini che si è proposto come eminenza grigia della Schlein, la perfetta candidata segretario del partito radicale di massa; o come chi si acconcia a fare il gregario nella Ditta di Bonaccini sperando di conservare uno strapuntino. Sono logiche interne di cortissimo respiro a caratterizzare il dibattito tra i Dem in vista delle primarie. Intanto i sondaggi rilevano il costante calo di consensi al partito, sceso ormai al 14%.

Carlo Baviera vede benissimo limiti e colpe del PD (CLICCA QUI) ma lo ritiene “l’unica barriera contro il tracimare delle destre”. Gli direi che le destre tracimano proprio grazie a questo PD, incapace di far politica se non presentandosi come alternativa in un sistema bipolare in cui sfrutta la sua rendita di posizione. “O noi o la Meloni” è stato l’unico ritornello elettorale di Letta, che aveva scientemente costruito nel tempo il dualismo con la leader di Fratelli d’Italia, accreditandola come la (facile) avversaria da battere: vuoi mica che gli italiani preferiscano una post-fascista?… Abbiamo visto chi ha fatto un sol boccone dell’altro.

L’equidistanza di INSIEME dai due poli (anche se ci sarebbe da approfondire - CLICCA QUI) sta proprio nel rifiuto del sistema: non si può dare il giro al nefasto bipolarismo italico – costruito con leggi elettorali anticostituzionali che hanno di fatto creato un’oligarchia al potere, circondata da devoti “nominati” o aspiranti tali – scegliendo alla fine il meno peggio. Il PD non merita il nostro voto, non avendo fatto nulla per cambiare un sistema che, in fondo, gli fa comodo così. E chiunque oggi voglia superare il bipolarismo tenuto in piedi dalla stampella del maggioritario, dopo averne visti i limiti e i frutti avvelenati, è un interlocutore politico.

Intanto i cattolici democratici dovrebbero ritrovarsi nella battaglia politica per restituire agli elettori la piena sovranità, liberi di scegliere partiti anche nuovi – oggi ostacolati (servono decine di migliaia di firme per presentare in meno di un mese le liste, mentre chi è nel fortino della politica si autoesenta con qualche codicillo ad partitum) – e le persone che meglio li rappresentano. Proporzionale e preferenze, abbattendo maggioritario e nominati. Questo il primo passo per ridurre l’astensionismo e per ridare autorevolezza al Parlamento e alla democrazia rappresentativa.

All’orizzonte si profila il presidenzialismo, bandiera della destra (Meloni in primis) ma su cui convergono anche altri capi partito come Renzi e Calenda; e su cui, ne siamo sicuri, non mancheranno sponde nel PD, speranzoso di rinnovare con questo strumento il bipolarismo, con la connessa rendita di posizione, che si sta sempre più esaurendo. Su questo terreno di scontro – di cui abbiamo ricominciato a parlare riprendendo l’intervento di Nino Labate (CLICCA QUI) – i Popolari, tutti e senza distinzioni, dovrebbero stare dall’altra parte, per una rigenerazione della democrazia parlamentare e delle Autonomie da contrapporre all’autoritarismo e al centralismo. Vista l’esperienza degli anni passati, ci aspettiamo tuttavia qualche defezione e molti silenzi.

 

Per leggere la ricerca completa di Ixé sui flussi elettorali, CLICCA QUI.


5 Commenti

  1. Non aggiungo nulla alla riflessione di Risso, che condivido. Ora mi importa vedere come si riesce a far avanzare una lotta pacifica al sistema ex democratico ed ora avviato verso una involuzione antidemocratica nella sostanza, anche se ancora parzialmente democratico nella forma.
    Non sarò io povero untorello a riuscire nell’impresa, nemmeno da solo il mio partito “INSIEME”, anche se il partito Insieme ha l’ obbligo morale di essere il catalizzatore di una rivolta pacifica che metta in evidenza tutta l’ ambiguità del sistema attuale. Il compito arduo è far capire alla maggioranza degli Italiani che un eventuale presidenzialismo connesso ad un Parlamento di “nominati” è la tomba della democrazia e poco importa se si continuerà ad essere chiamati a votare.
    Nello svelare questo inganno abbiamo avversari in quasi tutto l’arco dei partiti presenti in Parlamento e per avere qualche speranza di successo si deve raccogliere un consenso collegando per questo specifico scopo anche forze nella società che non hanno una cultura vicina alla nostra. Dobbiamo fare ciò nella chiarezza che non si è alleati su tutto, ma solo per salvare una democrazia vera che è patrimonio di tutti.
    Senza farla lunga, nel 1946/1948 Comunisti e Democristiani hanno saputo formulare la Costituzione pur partendo da visioni del mondo ben distanti. Ora non mi si dica che stiamo peggio di allora!
    La progettazione di un movimento trasversale per la salvaguardia della democrazia reale non si improvvisa. Dobbiamo passare dal commento sconsolato a ciò che accade alla progettazione del diverso e nuovo e, forse, in questo possiamo anche trovare l’appoggio di molti giovani, ed anche tra coloro che non hanno ancora consolidato un proprio orizzonte culturale a cui far riferimento per la propria vita.
    In conclusione dobbiamo progettare una road map, accompagnata da un coerente stile comunicativo, e poi seguirla con grande pazienza.

  2. Condivido molte delle perplessità di AR sul futuro del PD (credo che non abbia futuro!), che voto dalla sua origine, ma di cui non ho mai fatto parte, perchè lo trovo uno strumento limitato e destinato a vita breve, perchè la grave carenza del sistema partitico riguarda la mancanza di una presenza nella società in cui viviamo di strutture culturali e sociali che alimentino a vita dei partiti, come avvenne invece in quel tempo in cui l’azione politica fu accompagnata da una forte presenza culturale capce di sostenere fore di orientamento nell’azione
    Per esempio, come sarebbe esistita una DC senza Azione cattolica? o un PCI senza forze sindacali, capaci di articolarsi su posizioni più (CGIL) o meno (CISL e UIL) di opposizione?
    Come si può pensare, oggi, di convincere a votare partiti che non pensano che a qualche seggio in Parlamento, a gente che gira il mondo e il lavoro se lo trova in un mercato ormai mondializzato, con un titolo di studio costruito mezzo in Italia e mezzo in università chissàdove? e se resta a casa, sperando in qualche salvagente familiare, comunque vive il mondo subendolo sul cellulare?
    Se non apriamo questo fronte, su percorsi culturali e sociali – ci stanno provando nel “gruppo Caffè”, persone attive come Alfonso Scarano, perfino il vecchio sito di “confronto” : tutti nostri possibili interlocutori – capaci di catturare attenzione e partecipazione, il solo piano politico produrrà il solito partitino del 4, magari 8, perfino 12% e farà la fine dei Calenda e Renzi che tanto parlano e poco ottengono, se non il loro seggiolino
    Grazie ancora ad Alessandro per sollecitare questo tipo di dibattito

  3. Gentile Direttore,
    desidero esprimere il mio plauso per la lucidità dell’analisi, l’interpretazione politica della ricerca sui flussi elettorali e per il coraggio dimostrato, insieme al Presidente Campia, nel promuovere ostinatamente un dibattito sul futuro dei popolari, aperto anche ai “popolari in libertà”, “ribelli”, disamorati, lontani ma mai domi. I popolari piemontesi si erano costituiti anche per questo, altro rispetto ai “58 nazionali”!
    Mi permetto due brevi osservazioni, una “ad intra” (liberi e forti popolari) ed una “ad extra” (liberi e forti tutti) riprese dai miei precedenti interventi.
    Ad Intra. E’ naturale l’attenzione precipua all’elettorato cattolico, “sinceramente democratico”, base di riferimento, tuttavia la “questione cattolica” fu risolta da Sturzo in modo compiuto e definitivo, una volta per tutte, attraverso l’elaborazione di una Cultura Politica, il POPOLARISMO, “metodo” per la partecipazione dei cattolici all’attività politica in forma organizzata ed autonoma. Il Partito Popolare Italiano e l’Appello ai Liberi e Forti furono il punto di partenza di una storia che aspetta di continuare a camminare, una storia che deve essere proposta a tutti gli uomini di buona volontà “Liberi e Forti”. I cattolici se scontenti dell’attuale situazione politica, arriveranno naturalmente, non per richiamo di fede ma per condivisione di una Proposta Politica. Occorre comunque preparare un “retroterra culturale”.
    Ad Extra. Il richiamo alla “deriva presidenzialista” è assolutamente condivisibile, ricordo che è il solo tassello mancante per la completa attuazione del “Piano di rinascita democratica”, elaborato nel 1974 da Licio Gelli e attuato per tramite della “P2”. Molti attori sono passati a miglior vita, molti sono ancora attuali e operativi. Ricordo anche che l’Assetto Istituzionale Costituzionale delineato dai Padri Costituenti, perfetto, equilibrato e protetto da eventuali derive ha già subito erosioni disastrose. La nostra Costituzione, studiata dai migliori costituzionalisti internazionali, l’abbiamo salvata più volte dalle “scorribande costituzionali”, la salveremo ancora, non vi è dubbio alcuno! Tuttavia il “deficit di democrazia” che attanaglia le democrazie occidentali, usato come alibi dai presidenzialisti, è uno degli effetti, non la causa della crisi in cui versa il mondo occidentale e non solo. Ritengo sia l’incapacità di governare le moderne “società del benessere” la causa principale dei problemi contemporanei. Occorre proporre un modello di società responsabile, sociale, sostenibile, democraticamente coinvolgente, solidale, produttiva, europea e atlantista, integrata nel mondo globale, capace di governare, non amministrare, il benessere e ridurre tendenzialmente a zero le disuguaglianze sociali. Una tale proposta politica,corredata di adeguato e approfondito programma (non si può affrontare in poche righe) può avere l’ambizione di essere proposto ai Liberi e Forti di questo Paese e oltre…. Il benessere deve essere condiviso non difeso.
    Non voglio esprimere parole sul fallito progetto della “casa comune dei riformisti”, mi spiace per il tempo perso dagli ex-popolari e ancor più per quello che hanno fatto perdere ai popolari non ex.
    POPOLARI “sospesi” riprendiamoci il PARTITO POPOLARE ITALIANO!
    Maurizio Trinchitella
    Socio Fondatore Associazione i Popolari del Piemonte nello Studio Tavolaccini a Biella

  4. Se i cattolici democratici vogliono farsi notare nel PD non possono rimanere sempre “zitti e buoni”. Il popolarismo nel silenzio e nell’accidia rischia l’estinzione.Servono parole chiare, non pavidi silenzi. La politica italiana avrebbe bisogno del ritorno del popolarismo, anche se a destra come a sinistra molti ne sarebbero assai infastiditi!

  5. Con tutta l’umiltà del caso, mi permetto di pormi in una visione prospettica da cittadino e mi chiedo perché, da laico cattolico, debba dibattermi tra ideologie di destra e di sinistra. Domanda che insorge rilevando come a vario titolo di opportunismo politico, il leaderismo che l’ha fatta sempre da padrone sul popolo, abbia approfittato della visione ideale dei cittadini cattolici del popolarismo civile, sociale, economico e politico, che da sempre ha tratto forza introspettiva dagli ideali propugnati dalla DSC e dall’etica agita da Don Sturzo, sia nella società civile, che in economia, nella visione d’impresa e nella finanza mutualistica, e ancor prima che si costituisse la Democrazia Cristiana. Poi, in politica, con “l’appello ai liberi e forti” e la fondazione del Partito Popolare Italiano (1919-1924), partecipando da non iscritto alla politica della Democrazia Cristiana di De Gasperi (1942). Per quanto riguarda la storia e la cronaca non lontana della DC, saltando a piè pari il tentativo del 1994 e la confluenza successiva nella Margherita, per sparire del tutto all’ombra del PD prodiano.
    Quante vicende si sono succedute, fino alle ultime elezioni e con il piglio politico della destra al governo, misurando la disaffezione al voto dei cittadini italiani? E credo che il segno dei deficit di democrazia più lampante, sia promuovere la pace attraverso la guerra, la sofferenza e la morte. Attualità di valori amorali che poi si confondono con la morte dei migranti nella tomba del Mediterraneo, in cui la vita di un essere umano in agonia è divenuto un problema giuridico. E che dire del sistema legislativo, che nel lungo periodo servirà a smantellare la Costituzione e a produrre un mostro giuridico che sconfessa oggi quel che la legge aveva stabilito ieri, di cui si avvertono i prodromi nell’attualità. E poi, la Famiglia, pilastro di ogni società civile; con l’aberrazione di produrre bambini come merce che acquieti sindromi da curare; la sanità allo sfascio; il lavoro che non è per tutti e che è misurato sulla produzione e la vendita, in un sistema in cui il valore degli scambi debba produrre profitti i più alti possibili, misurati da moneta di proprietà privata altrui, di cui si è meri utilizzatori, a condizione che se ne abbia per non scomparire da questa forma alienata di società civile, senza Stato di diritto.
    Tutto è mercificato, anche la moneta, che ha assunto, con la finanziarizzazione dell’economia, il valore di una merce di scambio, dove la regole è la contrapposizione perenne tra chi vince e chi perde alla roulette della vita, per come la interpretiamo dalla prospettiva umanistica, in cui il benessere è misurabile sull’ultimo dei membri della comunità umana. Un mondo in transizione, in cui le guerre sono il sostegno al capitalismo neo liberista, fondato sulla forza del possesso senza limiti e senza dar peso all’avvelenamento delle risorse vitali e alla salute del genere umano e a animale e al valore della biodiversità in natura.
    Si arriverà o meno al multilateralismo? Intanto, la Cina scambia beni in yuan, saltando la conversione preventiva in $ e utilizzando private tecnologie digitali, e lo fa anche in Sud America. Un mondo impazzito che avrebbe bisogno di umanesimo cristiano per ripristinare equilibri perduti, cominciando da un piccolo, ma importante Paese da 59 milioni abitanti, culla della civiltà, tra storia, cultura e bellezza, con la nostra penisola nel Mediterraneo protesa verso l’Africa e aperta a tutte le latitudini.
    Perché no? E allora perché non promuovere nella società civile, tra i laici cattolici che la popolano, agendo dalla prospettiva che le qualità umane solidali che ci contraddistinguono potrebbero costruire un centro politico, avulso dalla destra e dalla sinistra, approfittando del bagaglio morale e dell’agire etico, sul presupposto dell’accoglienza delle reciprocità tra noi, come valore culturale e di conoscenza di cui nutrirsi e che, tra cuore e ragione, sul sostrato solidale comune, prospetti un sistema che ci impegni, tra uomo e natura, sulla capacità di produrre valori d’uso. Una prospettiva di lavoro comune per produrre valori d’uso, in cui il benessere tra uomo e natura, sia misurato non dal profitto, ma dalla qualità della vita, al fine di essere resilienti nell’agire sociale, economico e politico, con lo scopo di mantenere sostenibile nel tempo gli equilibri naturali per attitudine civile agli equilibri naturali della società umana.
    Appare evidente che l’impegno di dare valore alla produzione di beni d’uso tra uomo e natura sia un paradigma in contrasto con la deriva capitalistica di dare valore agli scambi, senza tener conto della natura, per alimentare quanto più possibile il profitto misurato dal denaro, dopo Bretton Woods, che nel 1971 produsse una linea di demarcazione dell’Atlantismo a trazione americana di oggi. Così, il problema è continuare a guerreggiare con il pericolo nucleare, o provare a ripristinare condizioni di equilibrio autentico tra uomo e natura.
    Perché non cominciare da casa nostra e dall’umanesimo cristiano che ha percezione consapevole del significato introspettivo di “solidarietà”?
    Sarebbe d’interesse sapere se sia una visione condivisibile, per arrivare a parlare con una sola voce solidale, rappresentativa dell’apporto dei cattolici italiani, espressione della società civile, in rapporto alla natura, all’economia e a un centro da generare per gli equilibri politici a casa nostra, come valore da esportare nell’Europa dei Popoli.

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