La denatalità che la politica ignora



Natale Forlani    16 Dicembre 2021       0

Nell’indagine dell’Istat sull’andamento della natalità e della fecondità in Italia trova conferma il calo delle nascite avvenuto nel corso del 2020 (405mila, meno 15mila rispetto al 2019), anticipato già da precedenti comunicati dell’istituto. Ma la nota diffusa ieri dall’Istituto di statistica sull’andamento della natalità e della fecondità della popolazione residente conferma anche gli effetti di trascinamento negativi sulle nuove nascite dei mancati concepimenti avvenuti nel corso della pandemia Covid (meno 12,5mila per i primi 9 mesi del 2021), che rendono concreta la prospettiva di un’ulteriore significativa riduzione per l’anno in corso.

La nota mette in evidenza una preoccupante accelerazione del fenomeno della denatalità legata a fattori strutturali che prefigurano un potenziale assestamento delle nuove nascite su valori inferiori, e tali da comportare un saldo naturale negativo della popolazione (la differenza tra le morti e le nascite nel corso dell’anno) superiore alle 335mila unità registrate nel 2020.

Concorrono a questo risultato la riduzione: del numero delle donne fertili relazionato agli effetti di trascinamento del declino demografico, del tasso di fecondità delle donne tra i 15 e i 45 anni, del numero dei matrimoni, del contributo offerto dalle famiglie degli immigrati.

Questi fattori negativi hanno subito una forte accelerazione nel corso dell’ultimo decennio anche per le conseguenze delle due crisi economiche e occupazionali sui redditi delle persone e delle famiglie. Senza per questo trascurare l’impatto degli orientamenti culturali, in particolare delle nuove generazioni, sugli stili di vita e delle scelte di formare una famiglia. Fattori che nell’insieme hanno comportato un saldo negativo annuale pari a 171mila nascite rispetto al 2008, anno precedente la grande crisi economica, dovuto integralmente alla componente dei figli nati all’interno dei matrimoni (meno 204mila) compensate parzialmente dalla crescita di quelli nati al di fuori del matrimonio che rappresentano circa un terzo di quelle totali.

Il tasso di fecondità, 1,24 per ogni donna fertile, è ritornato sui minimi storici della metà degli anni ’90, vanificando il parziale recupero rispetto la media dei Paesi UE (1,7) avvenuto nel corso della prima decade degli anni 2000 (1,4 il tasso del 2008). E che risulta persino inferiore per le fasce delle donne italiane più giovani. Diminuisce in parallelo anche il tasso di fecondità delle donne straniere (1,9 rispetto al 2,4 del 2008). Il numero delle nascite nelle famiglie composte da soli stranieri scende, per la prima volta, al di sotto delle 70mila unità.

Questi numeri concorrono ad anticipare di alcuni anni le previsioni negative sull’andamento della popolazione residente in Italia.

Nello scenario mediano fornito dall’Istat, la popolazione residente in Italia, anche stimando un potenziale incremento di 6,5 milioni di nuovi immigrati, si riduce di 12,5 milioni di persone, per l’effetto di saldi naturali negativi che si avvicinano alla soglia del mezzo milione di persone anno. Per la metà concentrata nelle regioni del Sud Italia e delle Isole, penalizzate dalla minore attrazione di nuovi immigrati. Tendenze che spingeranno l’indice di vecchiaia fino a 300 anziani over 65 anni ogni 100 minori under 15. Numeri spaventosi che producono conseguenze, già ampiamente in corso, sulla riduzione della popolazione in età di lavoro, con le implicazioni che non sono difficili da immaginare per sostenibilità economica e sociale della spesa pubblica e della distribuzione del reddito.

Resta da chiedersi il perché, di fronte a questi numeri che il Presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo definisce come paragonabili alle conseguenze di una guerra, i temi della ripresa della natalità e della sostenibilità economica e sociale dell’invecchiamento della popolazione non assumano la centralità che dovrebbero meritare nelle scelte politiche.

La spiegazione viene in parte offerta dalla preponderanza del peso elettorale delle popolazioni anziane, e dal bisogno di soddisfare la domanda di sicurezza che si associa all’invecchiamento della popolazione, che viene inevitabilmente assecondato dalle rappresentanze politiche. Ma le politiche che vengono praticate in Italia, rivolte a privilegiare l’incremento della spesa per i pensionamenti anticipati (CLICCA QUI) e la spesa assistenziale a favore delle persone in grado di lavorare, a discapito delle risorse da destinare alla creazione di posti di lavoro e dei sostegni alle famiglie, tendono ad assomigliare all’applicazione di un manuale della dissoluzione della comunità nazionale.

I numeri comunicati dall’Istat ci segnalano che siamo sulla soglia di una rottura irreversibile degli equilibri demografici che rischia di precludere ogni velleità di ripresa economica. I programmi delle forze politiche confermano che, con tutta probabilità, tale soglia è già superata.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


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