Scuola: una riforma a costo zero



Roberto Leoni    21 Febbraio 2021       1

Il 15 febbraio il “Corriere della Sera”, riportava i 7 obiettivi fondamentali del governo Draghi e poneva, per primo, “Riforme e Merito nell’Istruzione”.

Evidenzio quello che giudico il passaggio fondamentale: “L’istruzione e il capitale umano sono uno dei capisaldi del programma. Nei primi giorni del suo incarico il capo del governo ha parlato di un possibile aumento del calendario scolastico in modo da recuperare il gap di lezioni perdute a causa della pandemia. Prevista anche una riscrittura totale della parte dedicata dal Recovery plan all’istruzione con l’introduzione di riforme a costo zero come la valutazione degli insegnanti e l’introduzione di criteri di merito e di efficienza, oltre alla formazione digitale. Previsto anche un intervento sulle cattedre, erano 10.000 quelle vacanti all’inizio dell’anno scolastico”.

Che il Governo ponga la questione Scuola al primo posto è certo molto importante e positivo; avrei preferito che in apertura del testo fosse scritto “l’educazione” al posto di “istruzione”, comunque va bene anche così.

Noto che non è certo la prima volta che, nelle dichiarazioni programmatiche di un Governo, la Scuola sia posta fra le prime questioni da affrontare. Ricordo che nel discorso programmatico del Governo De Mita, Giovanni Galloni ministro della P.I., si pose la necessità di effettuare una “Conferenza Nazionale della Scuola”, di cui da sherpa ne redassi lo schema. Il Governo De Mita cadde, subentrò come Ministro della P.I. Sergio Mattarella, che realizzò quella Conferenza Nazionale… da allora vi furono altre iniziative similari e ogni ministro, specie dal 1996 in poi, volle fare la propria “riforma”. Tuttavia, paradossalmente, la crisi della Scuola, non è arrestata e ci ritroviamo oggi, 2021, a dover porre in primo piano la necessità di intervenire, ancora e fortemente, sulla Scuola.

La diagnosi della patologia scuola è complessa, per i tanti fattori in gioco: troppe riforme una dietro l’altra, cadute addosso a una classe docente disorientata; l’eccessiva burocratizzazione (da giovane direttore didattico mandavo avanti un Circolo “mega” con un solo segretario, maestro distaccato; subito dopo i decreti Malfatti mi ritrovai con 6 persone in segreteria…), che oggi la digitalizzazione ha, paradossalmente, accresciuto; il permissivismo e la non risolta questione della professionalità docente.

La questione della professionalità docente si pone sia dal punto di vista della formazione di base che da quello dell’assunzione in servizio e, poi, della valutazione in attività. Un tempo per la formazione professionale delle educatrici di Scuola Materna e di Scuola Elementare bastavano la Scuola Magistrale e l’Istituto Magistrale. Poi, giustamente, si è giunti a una formazione di tipo universitario, ove però l’impostazione è ancor oggi più di tipo “accademico” che non “scientifico-metodologico -didattico”.

Per i docenti delle Scuole Secondarie un tempo si aveva la laurea disciplinare e, poi, l’esame di abilitazione (per alcune discipline era nazionale), poi i concorsi. Negli anni, la formazione dei docenti, dei due livelli scolastici secondari, ha visto aggiungersi la formazione psicopedagogica.

L’impalcatura formativa quindi dovrebbe esser sufficiente, teoricamente lo è; soffre però del generale “abbassarsi dell’asticella delle conoscenze”… in un mondo, non solo della Scuola, ove invece si richiedono conoscenze competenze sempre maggiori. Questo è un problema generale, proprio di un società consumistica e permissiva, dove all’impegno si vuol sostituire il facile e il divertente, e di sacrificio non si vuol neppure parlare.

Non vorrei qui esser frainteso, non sono un lodatore del passato e non penso assolutamente si debba tornare indietro! Credo però che con l’acqua sporca non si debba gettar via il bambino. Oggi, specie in Occidente, paghiamo la confusione fra diritti e doveri, crediamo che i singoli egoismi si possano declarare come diritti civili…

Per andare avanti, progredire realmente, occorrono principi etici e competenze, capacità di impegno e, perché no, sudore della fronte! Questa problematica, irta di difficoltà, va però qui tralasciata alle varie “letture” che se ne vogliano dare.

La questione che invece va approfondita poiché posta, come si è letto, fra gli aspetti fondamentali dell’impegno del nuovo governo per la Scuola, è la riforma, a “costo zero”, della valutazione della professionalità dei docenti, dei risultati educativi e sul piano dell’istruzione da loro ottenuti. Più che non di riforma della valutazione della professionalità docente credo più corretto parlare di introduzione, meglio ancora re-introduzione, della valutazione dei docenti.

Negli ultimi anni ogni volta che si è toccato questo tema si assistito a una levata di scudi sindacale; cosa strana perché la gran parte delle categorie professionali sono sottoposte, pur con sistemi diversi, alla valutazione professionale e produttiva, che si lega anche, per esempio, per certe categorie di dirigenti, alla remunerazione. Debbo anche dire che, specie nel pubblico, questa valutazione è spesso formale.

Nelle Scuole, prima dei cosiddetti Decreti Delegati, la valutazione dei docenti veniva effettuata dal Dirigente Scolastico, Direttore Didattico o Preside (questi erano valutati annualmente, con lo stesso sistema dal Provveditore agli Studi); era annuale, veniva denominata “qualifica”, e un giudizio sintetico, posto a conclusione di vari “giudizi analitici”, esprimeva la valutazione del docente: da “Ottimo” a scendere sino a “Insufficiente”. Tre anni consecutivi di tale qualifica davano luogo al licenziamento. Il giudizio di qualifica annuale veniva comunicato all’insegnante, che poteva non accettarlo, richiedere visione dei giudizi analitici e formulare ricorso gerarchico sia avverso il giudizio sintetico che contro uno dei singoli giudizi analitici. A questo si aggiunga che i dirigenti erano tenuto a visitare ufficialmente il docenti in attività e redigere un “Verbale di Visita”, sottoscritto dal docente, che aveva facoltà di gravame anche su questo atto. Era un sistema gerarchizzato, non esente da personalismi ma anche dotato di garanzie, in fin dei conti funzionava, avendo però il grave difetto – era davvero tale – di stimolare i docenti a fare, sempre meglio, il loro dovere.

Nel clima del ’68 questa forma fu contestata, ripeto non del tutto a torto; si giunse, nel ’73, a dar vita una forma di valutazione che veniva espressa, allora a richiesta del docente, da un “Comitato per la Valutazione”, eletto nell’ambito del Collegio dei Docenti e che perdurava in carica tre anni.

Oggi, pur con alcune modifiche e integrazioni, il sistema è ancora – i singoli Comitati i danno i loro criteri (sic!) – questo ed il suo compito, principale, e avente peso, un’unica volta, nella carriera del docente, è la valutazione sul superamento del periodo di prova di chi è immessi in ruolo. La visita, verbalizzata, del Dirigente Scolastico al docente non è stata ufficialmente cancellata ma è scomparsa.

Oggi si ripropone la necessità della valutazione della professionalità dei docenti è giusto, però che fare?

A mio avviso va abbandonato il sistema del Comitato Elettivo ma non si può neppure tornare al sistema, che aveva una sua efficacia, della qualifica. Indietro non si torna! Potremmo però ribaltare la questione e valutare i docenti “misurando” le prestazioni degli alunni, insomma sviluppando e migliorando – di molto però – le valutazioni sulle competenze raggiunte dagli alunni così come prova a fare l’INVALSI.

Insomma valutare la Scuola e i docenti misurando oggettivamente i risultati raggiunti dagli alunni. Faccio un esempio, terra terra: se nel programma di un dato anno è previsto che gli alunni sappiano fare la radice quadrata e risulta che nella Scuola X su Y classi quelli della classe Z non la sanno fare… allora si va a vedere la professionalità del docente, che non può certo dire “quest’anno ho una classe di somari”. Inoltre i risultati complessivi delle prestazioni degli alunni, sulla base delle previsioni programmatiche, vanno rese pubbliche, in modo che le Scuole e i singoli insegnanti facciano “un esame di coscienza”.

Sto fantasticando?

No questo tipo di sistema è, in sintesi, quello in vigore negli USA, ove un apposito Ente Federale – Educational Testing Service – provvede alla misurazione.

Questa potrebbe esser una “riforma” non a costo zero, ma quasi. Certo, metterla a regime richiederebbe almeno tre anni ma si potrebbe cominciare subito. L’alternativa… lasciare le cose come stanno, un bel Comitato – tanto uno più uno meno – che serva a ciò che diceva Krusciov o, prima di lui, il Gattopardo…

(Tratto da www.politicainsieme.com)


1 Commento

  1. Da Dirigente scolastico in pensione ho letto con interesse l’articolo. Sono assolutamente d’accordo con l’introduzione, sì perchè di introduzione si tratta, della valutazione dell’insegnamento, e preciso, non della persona dell’insegnante. So che la mia posizione non è molto condivisa dall’ambiente della scuola, docenti e dirigenti stessi compresi, che ne hanno un sacro timore, salvo poi giudicare tutto e tutti “al bar”, dal panettiere o dal parrucchiere. Non sono però d’accordo quando si propone di misurare la capacità professionale di un docente dai risultati scolastici degli allievi. Le variabili che entrano in gioco tra quello che l’insegnante fa in classe e i progressi formativi degli studenti sono tantissime, tra questa sicuramente il ruolo dell’insegnante è significativo ma non è il solo. La professionalità di un docente passa attraverso il suo modo di stare in classe, le relazioni con cui cui si pone, la sua capacità di dialogare/interfacciarsi, la flessibilità dei suoi interventi che devono adattarsi in contemporanea a venti/venticinque o più ragazzi con teste e caratteri diversi, la capacità di gestire in modo formativo la valutazione, il suo modo di interfacciarsi con colleghi, famiglie e altri operatori, ecc ecc la sua capacità per dirla in breve di mettersi in gioco e di credere che ogni sua parola e ogni suo gesto può lasciare traccia, nel bene e nel male. E osservare, documentare, registrare questi aspetti non è così semplice ma nemmeno impossibile. Come dirigente scolastico sapevo perfettamente quali erano gli insegnanti validi e quelli no e tra questi quelli che potevano migliorare e quelli che avrebbero potuto forse fare meglio un altro mestiere! Ma il problema è che mancavano e mancano ancora gli strumenti di questa valutazione e le relative ipotesi consequenziali! Da sempre sostengo che non bisogna premiare economicamente chi fa bene il proprio mestiere (questione complessiva delle retribuzioni a parte) perchè sei pagato per questo, piuttosto togliere, penalizzare chi non lo fa bene! E’ troppo “forte” questa proposta? forse sì ma sono convinta che potrebbe funzionare! Grazie

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