Da Moro i lumi per una nuova politica estera



Carlo Baviera    14 Dicembre 2020       0

In una vecchia intervista a Giuseppe Fioroni su Aldo Moro, si accenna soprattutto alle linee della sua politica estera. Visto che attorno a MES e Recovery Fund si sta giocando una partita di politica estera importante per il futuro dell’alleanza (bislacca) di governo ed eventualmente per la figura dell’Italia verso le Istituzioni europee, vediamo uno alla volta quei “tre fatti di politica estera” accennati da Fioroni, più un quarto aspetto.

Moro “quando nel ’71 va all’ONU e, in un mondo diviso fra Est e Ovest, fa un grandissimo discorso dove dice che non è possibile vivere in un pianeta in cui la storia è fatta soltanto da pochi Paesi, e gli altri Paesi la subiscono. Di qui la necessità della multilateralità e della solidarietà internazionale, con la convinzione che i Paesi che non fanno la storia, quando non avranno più nulla da perdere, prenderanno le barche e verranno da noi. Questo discorso potrebbe essere stato scritto oggi, cinquant’anni dopo”. Infatti oggi ci troviamo proprio nella situazione prevista da Moro. Non solo l’aspetto dei profughi e degli emigranti, ma anche la necessità della multilateralità per mantenere un equilibrio meno precario. Anche dopo il Covid-19 si rafforza ciò che molti indicano con timore: USA sempre meno impegnati in aree come l’Europa, che dovrebbe rendersi più autonoma, la Cina sempre più imperialista attraverso una politica economica di conquista espansionistica e un apparto governativo repressivo sia all’interno che ad Hong Kong, l’Europa ad egemonia tedesca.

Sembrano lontani gli anni a cavallo dei due secoli in cui il multilateralismo rappresentava una speranza di pace e di collaborazione tra i popoli. Questa rimane una prospettiva affinché non degenerino i rapporti internazionali e acquisiscano più autorevolezza gli organismi istituiti a garanzia dei diritti e della giustizia internazionale. Sarebbe una colpa grave anche dal punto di vista politico oltre che storico abbandonare quella impostazione. I vari G7, G8, G20 devono essere momenti di reali decisioni comuni, di reale coinvolgimento. Come lo devono diventare l’applicazione delle risoluzioni dell’ONU e così via: sempre con la partecipazione di tutti i protagonisti, lasciando nessuno in disparte nello sgabuzzino.

Secondo spunto: “Poi, nel 1973, ipotizza la prima conferenza Europa Mediterraneo. Dicono di Renzi che abbia l’imprimatur di 'Europa è Mediterraneo', ma l’idea è di Aldo Moro, del 1973, quando fece il giro dei Paesi del Nord Africa, facendo avvelenare sia i russi che gli americani e mettendo le basi per la prima conferenza Europa Mediterraneo. Infine, il lavoro che fa in Europa. Moro era ossessionato dal fatto che l’Italia fosse un piccolo Paese, lungo, dentro il Mediterraneo, e che quindi avesse bisogno, per contare di più, di un'ONU forte e di un’Europa fortissima”.

Un’Europa fortissima. Non mi dilungo; è argomento attualissimo; fortissima ovviamente, lo sappiamo tutti, non significa con armamenti moderni e carri armati ultimo modello. Significa autorevole perché si assume responsabilità internazionali e sa dire parole equilibrate, di futuro, e di pace. Aggiungo, però, che in tutta questa forza europea un posto non secondario deve assumerlo con una politica “per” e “con” l’Africa. Ce lo aveva detto in tempi meno sospetti Romano Prodi: l’Africa è il futuro dell’Europa. Senza una visione intelligente e senza investimenti economici che assicurino prospettive di indipendenza e di protagonismo per quei popoli, i cinesi (e poi il califfo turco, lo zar russo, e i sempre attivi imperialisti occidentali) condizioneranno il “continente nero” e non certo a favore dell’Europa.

Inoltre “politica mediterranea”, insieme ai Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Può sembrare, ma non è, una piccola visione il pensare al Mediterraneo quando le questioni globali si giocano sul scacchieri posizionati in altre zone. Il Mediterraneo non è fuori dai giochi, perché ancora troppe questioni (basti citare la Libia, basti pensare a Cipro diviso fra due etnie, basti pensare al Libano mai pacificato, a Israele con le contraddizioni nei rapporti con i palestinesi, all’Egitto con cui anche l’Italia ha qualche “problemino” per i casi Regeni e Zaky). In mancanza di una politica collaborativa nel Mediterraneo diventa quasi impraticabile una politica europea verso l’Africa.

Veniamo così al terzo spunto: “Un’Europa fortissima doveva essere una Europa politica. Così, sotto la sua presidenza ci fu la decisione di fare la prima elezione a suffragio universale del Parlamento europeo, che fu poi spostata dal ’78 al ’79 perché egli morì. Tutto questo configura perché lo hanno rapito e perché lo hanno ucciso. Moro ai terroristi, chiunque essi siano, non mette paura perché gestisce il potere, ma mette paura perché elabora, pensa, progetta, innova e ammoderna. E Moro era il prototipo di tutto questo, di chi poteva cambiare l’Italia con il processo di rigenerazione e rinnovamento della democrazia italiana ed era quindi il loro principale nemico”.

Anche oggi sappiamo che l’Europa o sarà politica o non avrà futuro. Sembra che le autorità responsabili dello politiche comunitarie (e con loro Merkel e Macron) si siano resi finalmente conto che siamo alla volata finale. Se non si fanno passi decisi, da parte degli Stati nazionali, verso una condivisione maggiore di altre “fette” di sovranità con i vertici europei l’Unione Europea resterà ancora inadeguata rispetto ai compiti del momento. Gli impegni di carattere economico sono significativi, ora servono decisioni politico-istituzionali.

Veniamo così al quarto aspetto, che è la conclusione. Parto proprio da quella decisione delle elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo. Allora si è avuto il coraggio, la fantasia, la spregiudicatezza di inventare istituti nuovi, di andare oltre allo status quo: le elezioni coinvolgevano i cittadini i partiti le opinioni pubbliche e avrebbero potuto sconvolgere gli equilibri rassicuranti soprattutto per funzionari e decisori politici. Si scelse il rischio.

Quel rischio oggi deve essere assunto ad esempio per superare il voto all’unanimità degli Stati (vediamo quanto è dannosa questa pratica quando si tratta di aiutare con sostegni economici gli Stati più colpiti dal Covid-19) e la presenza di un rappresentante per ognuno dei Governi nella Commissione. Continuo ad essere convinto che servano partiti europei, Stati che abbiano meno potere pur senza centralismo di Bruxelles, e una Commissione federale eletta dal Parlamento senza tener conto delle indicazioni dei Governi nazionali ma in base a maggioranze politiche continentali. Se si resta fermi, non si muta nulla nell’impianto istituzionale, e soprattutto non si crea una nuova classe dirigente capace di guardare oltre gli interessi autarchici del proprio Paese, più che avanzare retrocederemo e saranno altre potenze internazionali a decidere i nostri interessi.

Se si resta aggrappati al modello degli Stati post-risorgimentali saremo presto ingoiati dalle potenze mondiali che già si spartiscono America Latina, Asia e Africa. Il prossimo boccone saremo noi!


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