I limiti del reddito di cittadinanza



Leonardo Becchetti    16 Luglio 2020       1

La “conquista del lavoro” come dimensione costruita o ritrovata è uno dei punti deboli e al tempo stesso uno dei fattori fondamentali di successo di un sistema socioeconomico orientato alla generatività e alla ricchezza di senso del vivere.

Nel prossimo autunno, anche in Italia, la questione sarà più che mai decisiva. Le statistiche ci dicono che la rete distesa dal Reddito di cittadinanza è stata efficace nella lotta alla povertà, e tuttavia soltanto il 4% dei percettori di Rdc ha trovato un lavoro. La pandemia di Covid-19, nel frattempo, ha aumentato l’area di marginalità e povertà ma, oltre ad aver fatto crescere il problema, ha portato con sé un’opportunità rilevante perché un piano ben congegnato in materia può accedere alle importanti risorse dei nuovi finanziamenti europei Next Generation Eu e del Recovery Fund. A patto che si riesca a intervenire su due questioni nodali.

La prima è quella dell’incentivo alla transizione verso il lavoro a partire dalle misure di assistenza nella lotta alla povertà (qui da noi, il Rdc). Per favorire la transizione si sono correttamente creati due meccanismi, ma ne manca un terzo. Il datore di lavoro che assume a tempo indeterminato ottiene, infatti e opportunamente, un esonero contributivo proporzionale al Rdc. E il percettore di Rdc che decide di avviare un’attività in proprio porta con sé una dote di sei mesi di reddito. Manca, invece, l’incentivo per il percettore di Rdc a lasciare il sussidio per un lavoro subordinato (e a collaborare fattivamente per la ricerca di questo tipo di lavoro, fatto di per sé fondamentale anche per ricevere offerte), e non basta a questo proposito l’incentivo per il datore di lavoro che scatta peraltro solo in caso di assunzione a tempo indeterminato. Sarebbe pertanto opportuno estendere la “dote” prevista in caso di auto impiego anche alla circostanza in cui maturi l’offerta di un contratto di lavoro dipendente.

Per impostare in modo corretto la questione, bisogna in secondo luogo superare un equivoco. Quello secondo il quale il problema della disoccupazione è soprattutto determinato dal fatto che esistono dei posti vacanti e dei disoccupati che possono occuparli, ma non lo sanno. Nel qual caso gli addetti dei Centri per l’impiego e i navigator del Rdc possono risolvere la questione incrociando domanda e offerta. In realtà, per trasformare un percettore di Rdc in un lavoratore non basta ridurre l’incompletezza informativa relativamente a domanda ed offerta di lavoro. Quello che accade molto più frequentemente è un “mismatch”, una mancanza di corrispondenza, di ben più ampia profondità: alcuni posti esistono (altri vanno creati), ma gli attuali disoccupati non vogliono o non possono occuparli per mancanza di competenze.

Per colmare il gap tra opportunità occupazionali e situazione attuale dei percettori di Rdc ci vuole, pertanto, un investimento importante in formazione e in accompagnamento/cura della persona che si può realizzare più efficacemente valorizzando quanto le reti sociali del Terzo settore già stanno facendo sui territori e le risorse finanziarie già presenti in campo. La sola idea di aumentare il numero dei dipendenti dei Centri per l’Impiego (seppure essi siano sottodimensionati rispetto alle esperienze degli altri maggiori Paesi europei) non basta se non usciamo dalla logica riduzionista di una funzione meramente burocratico-informativa.

Con il Patto per l’imprenditoria civile l’Alleanza contro la povertà e una vasta rete di organizzazioni della società civile propone di unire le forze sui territori per creare la massa critica necessaria per aumentare la transizione dalla condizione di percezione di sussidio a quella di lavoro (dipendente o autonomo). Per farlo si intendono mettere assieme le capacità progettuali, di formazione e di accompagnamento delle reti sul territorio attivando anche organizzazioni e risorse che sono a disposizione per operare nella stessa direzione. Si pensi al lavoro dei tutor della microfinanza dell’Ente nazionale del Microcredito o ai Fondi che la Chiesa italiana ha attivato per il contrasto alla povertà e la promozione di opportunità di lavoro, come quelli affidati, a Roma, da papa Francesco alla Fondazione Salus Populi Romani o a Milano alle Fondazioni Famiglia e Lavoro e San Giuseppe promosse negli anni dall’Arcidiocesi). Il momento è difficile è la sfida enorme. Soltanto l’affinamento degli incentivi, la sinergia tra organizzazioni e risorse può consentirci di raggiungere la meta e di aumentare la probabilità di transizione dalla povertà al lavoro.

(Tratto da www.avvenire.it)


1 Commento

  1. Condivido l’analisi di Becchetti. Personalmente mi sto interessando di un problema specifico, ma di grande rilievo socio-economico: l’inclusione lavorativa di giovani disabili (legge 68/99) e anche qui le problematiche sono quelle rilevate nell’articolo: le difficoltà ad uscire da regole, logiche, mentalità meramente burocratico-informative. L’incontro soddisfacente per entrambe le parti fra domanda e offerta (nel campo dei disabili in modo molto accentuato) richiede approcci e competenze nuovi, oggi ancora assenti nella PA.

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