Serve un ricambio della classe dirigente



Francesco Provinciali    20 Aprile 2020       0

Scriveva Seneca in una delle sue lettere a Lucillo: Longum est iter per praecepta, breve et efficax per exempla, che tradotto significa che l’esempio è la prima e più diretta fonte di insegnamento e ciò vale per la scuola, per la politica e per la vita. E ha pure i suoi corollari, questo significativo aforisma: si potrebbe dire ad esempio che “chi predica bene, razzola male”, ma anche che il popolo vuole dai suoi governanti meno parole e più fatti, maggiore coerenza tra idee e azioni, un senso più vissuto e tangibile di rispetto, onore, dignità, legalità.

I continui richiami del presidente Mattarella ai valori dell’ascolto, del dialogo, del confronto pacato, della mitezza dei modi e del rispetto dell’interlocutore non hanno le sembianze della retorica di Stato, sono se mai la summa di un’etica super partes che postula il concetto di civiltà. Lo stesso papa Francesco ha – da tempo – sciolto le remore delle riserve e ha alzato il velo sui sospetti di opportunismo secolare, invitando la classe politica ad un contegno etico ispirato a valori alti e contraddistinto da comportamenti pubblici e privati coerenti, chiari, trasparenti, apprezzabili… esemplari, appunto.

L’eco forte di questo richiamo non è rivolto solo ai cattolici in senso stretto ma all’intera classe politica, la reprimenda non è mirata solo ai “governanti di turno” ma si estende a tutti coloro che hanno fatto e continuano a fare un uso strumentale e poco etico della politica-mestiere, quasi separandola dai contesti di vita privati o sovrapponendo l’una agli altri in un mix comportamentale inaccettabile e insostenibile. Riproponendo ai cattolici, ai laici e all’intera società civile il dovere dell’impegno diretto per l’esercizio di una politica-professione che sappia parlare finalmente gli alfabeti e i linguaggi della gente e si faccia interprete dei suoi bisogni.

Quando sarà passata la lunga tempesta pandemica sarà necessario padroneggiare i meccanismi della ricostruzione del Paese, come accaduto dopo il secondo dopoguerra, decidere come rifondare un’idea di Europa solidale, si ripartirà dai debiti, dal PIL depauperato, da un contesto politico profondamente logorato, sarà necessario alfabetizzare ai bisogni della post modernità e della post globalizzazione una società che ha mostrato di essere impreparata di fronte ad emergenze proiettate sulla ribalta del presente come la sostenibilità generazione e quella ambientale, l’estinzione della biodiversità, le mutazioni demografiche e i flussi commerciali, il nesso tra lavoro e produttività, la comunicazione e i linguaggi digitalizzati, lo smantellamento di una burocrazia paralizzante, la centralità della conoscenza, il fondamento etico di uno sviluppo compatibile. La mera gestione dell’esistente, la logica del rinvio e l’assenza di modelli di società da consegnare alle generazioni future impongono un radicale ripensamento del concetto di politica come servizio, postulano la necessità inderogabile di attribuire un senso pratico all’utopia del bene comune.

Ed è per questo che mi piace ricordare un penetrante aforisma di Corrado Alvaro: “La più grande disperazione che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia una cosa inutile”.

È tornato il tempo dell’impegno, bisogna rimboccarci le maniche e chiedere spazio, agire, darsi da fare. Con le parole ma soprattutto con l’esempio. Perché la politica dei fallimenti e degli inganni, del massacro ideologico e della criminalizzazione di intere categorie sociali, la politica delle oligarchie e delle gerarchie medievali – vassalli-valvassori-valvassini per finire ai servi della gleba – quella delle faccende private spacciate come pubbliche virtù, la politica del falso merito, delle clientele, del miraggio del “forte, del bello, del ricco e del vincente”. Ebbene, “questa” politica non si combatte spiando dal buco della serratura o utilizzando il gossip e la facile indignazione, la retorica della sola condanna morale.

La condizione di latenza “ideativa” della politica che ci ha preceduto e di quella che ci è contemporanea finisce per coinvolgere l’intero sistema, le cui regole vanno dunque riconsiderate, ribaltate, riscritte da capo.

Questa politica sbagliata, ingiusta, iniqua, mortificante, questa politica tutta affari e interessi si combatte con altre idee, altri valori, altre scelte ma sempre e solo sul piano politico, non nei teatrini del casting mediatico di cui siamo da tempo relegati e abituati ad essere spettatori.

È venuto il tempo in cui non basta spazzare via i corrotti: siamo caduti in una compromissione etica tale e in una mistificazione così palese e ad un tempo indecifrabile che pare giunta l’ora di cacciare via anche coloro che hanno finora impugnato la scopa.

Chi ha occupato a lungo i templi e i luoghi sacri del potere cominci a riflettere sui propri limiti, poiché c’è una responsabilità generale della politica sulla crisi attuale. Cominci a guardarsi attorno per trovare nella società civile, nei giovani, in coloro che hanno maturato significative esperienze umane e professionali e le possono mettere al servizio del popolo, il ricambio, l’alternativa, la consegna. È venuto il tempo per molti di farsi da parte e di passare il testimone.

Abbiamo bisogno di gettare le fondamenta di una cultura politica centrata su valori alti, nobili, condivisi: non è necessario andare lontano, nel tempo e nello spazio.

Ci sono risorse da valorizzare, pagine da rileggere (a cominciare da quelle nobilissime della nostra Carta Costituzionale), altre da riscrivere, principi etici da applicare. Alcuni stanno nella nostra migliore tradizione, altri vanno commisurati ai tempi nuovi, all’emergenza di bisogni individuali e di spinte sociali: in entrambi i casi il riferimento dei principi e delle regole va cercato nei meandri di quella che chiamiamo “civiltà”, che restituisce dignità alla condizione umana e nobiltà alle intenzioni della politica.

Solo una politica a forte vocazione popolare può riavvicinare i luoghi delle decisioni a quelli delle azioni.

Perché una politica senza dignità non ha consenso ma una società senza dignità non ha futuro.


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