Mai più fascismi



Appello dei partigiani torinesi    22 Ottobre 2018       0

Una nuvola nera va nuovamente addensandosi – in Italia come in Europa – sulla società e sulle istituzioni. Riemerge dai cupi anfratti in cui essa, con il suo bagaglio di intimidazioni, odio e discriminazioni, era stata a forza ricacciata dalle lotte di liberazione ed emancipazione partigiana e popolare del secolo scorso. Si nutre dell’abbandono dei valori fondanti di libertà, fraternità ed uguaglianza, e di progresso civile e sociale, che di quelle lotte erano stati il seme, il cuore e la forza propulsiva e alle quali la Costituzione repubblicana, e l’avvento con essa dell’età dei diritti, avevano dischiuso la porta. Ridà corpo agli spettri del revanscismo, del razzismo, del disprezzo del diverso.

Genera il risorgere, brutale e generalizzato, della violenza. Di quella, di Stato, rappresentata dalla politica del respingimenti di chi fugge dalla povertà, dalle persecuzioni e dalla morte alla disperata ricerca di aiuto e di accoglienza; dalla criminalizzazione di chi lo soccorre e ricerca, e trova – ce lo narra il caso verificatosi a Riace – nuove modalità e modelli di pacifica convivenza tra le genti. Di quella, squadristica e non casualmente contestuale, dei nipotini dei picchiatori, somministratori di olio di ricino, devastatori di Case del Popolo, Camere del Lavoro e redazioni di giornali, assassini degli avversari politici, tornati muscolarmente ad esibirsi in minacce, aggressioni, attentati politici e razzisti.

Di fronte a essa noi, superstiti delle generazioni che, dopo l’8 settembre 1943, fummo chiamati, ventenni, a decidere da che parte stare, se con i profeti e gli artefici dell’orrore nazifascista o con chi si batteva per un mondo libero, democratico e giusto, diciamo ad alta voce, con la stessa determinazione di allora, che non siamo disposti né ad accettarla né a subirla; tantomeno a lasciarci intimidire da chi, sconfitto dalla Storia, tenta di resuscitare i fantasmi del passato o di inverarli, a ottant’anni dall’emanazione delle infami leggi razziali, in nuove forme di razzismo, intolleranza ed apartheid.

Non abbiamo paura: come non la ebbero Piero Gobetti, Antonio Gramsci e Giacomo Matteotti, sfidando Mussolini e il fascismo, né i nostri compagni affrontando a viso aperto i rischi del carcere, della tortura, della fucilazione della deportazione, nè gli operai delle fabbriche sostenendo la lotta con i boicottaggi e gli scioperi, nè le popolazioni delle montagne e delle città offrirendo ai combattenti il rifugio e il calore dell’ospitalità e della protezione solidale.

Ad allarmarci profondamente è, se mai, piuttosto il clima di indifferenza, egoismo, timori, intolleranza che tutto ciò ha alimentato e reso possibile. È la rimozione della memoria di quel che noi stessi siamo stati, sia nelle sue luci di rigenerazione e riscatto dalla sottomissione e dalla vergogna, sia nelle sue ombre, di repressione e atrocità coloniali e imperialiste contro quegli stessi popoli i cui figli oggi chiedono oggi asilo e soccorso. È la ricerca del nuovo nemico contro cui sfogare i propri peggiori istinti e dirottare recriminazioni e frustrazioni.

Contro questa deriva, contro la desertificazione delle coscienze e dello spirito critico che essa va provocando, noi riteniamo essere imperativo morale e politico ineludibile reagire prima che sia troppo tardi. Richiamano tutti noi a una rinnovata scelta di fondo: tra civiltà e inciviltà, tra egoismo e solidarismo, tra il distacco, rassegnato o opportunista, di chi “non la beve” e l’impegno di chi crede nonostante tutto nella virtù del coinvolgimento e della partecipazione, tra il coraggio di ricercare lucidamente le ragioni di disagio, ribellione e rabbia contro lo stato delle cose e le degenerazioni della politica che ne sono state fertile terreno di coltura e subirne passivamente le conseguenze.

È l’appello che rivolgiamo in primo luogo ai giovani: per ritrovare tutti insieme la voglia e la volontà di riprendere – forse con passo più affaticato e meno ravvivato dal fuoco della speranza e dell’utopia, ma con non minore determinazione – il cammino sui sentieri tracciati dalle donne e dagli uomini, non è retorico rammentarlo, che non esitarono a schierarsi, in tempi lontani e pure tanto vicini ed attuali, per riconquistare la propria dignità di persone e di cittadini.

Gastone Cottino, partigiano, Brigata SAP Mingione
Maria Airaudo, partigiana, 105° Brigata Garibaldi
Cesare Alvazzi Del Frate, partigiano, 41° Divisione Val Chisone
Sante Bajardi, 10° brigata SAP Garibaldi
Franco Berlanda, partigiano comandante, 4° Divisione Garibaldi
Gisella Giambone, partigiana, Brigata Curiel
Palmiro Gonzato, partigiano, Brigata Garibaldi Mameli
Giovanni Tonello, partigiano, 49° Brigata Garibaldi
Bruno Segre, partigiano, 1° Divisione Giustizia e Libertà
Antonio Falbo, partigiano, 42° Brigata Garibaldi
Vanna Canna, partigiana, 1° Divisione Garibaldi “Fratelli Baralli”
Giulio Quazzola, partigiano, 84° Brigata Garibaldi “Strisciante”
Pasquale Cinefra, partigiano, Divisione Garibaldi “Minco”
Carlo Varda, partigiano, 41° Divisione Val Chisone
Luigi Balesini, partigiano, 126° Brigata Garibaldi
Arialdo Catenazzi, partigiano, Brigata Alpina Cesare Battisti
Mario Trincheri, partigiano, Brigata Alpina Cesare Battisti
Amedeo Borghesi, partigiano, 2° Divisione Garibaldi “Redi”
Franco Sgrena, partigiano, 8° Brigata Matteotti
Luigi Fovanna, partigiano medaglia d’argento, 2° Divisione Garibaldi “Redi”
Giuseppe Bianco, partigiano, 2° Divisione Garibaldi “Redi”
Luigi Fumagalli, partigiano, Valgrande Martire
Renato Pantera, partigiano, Divisione Valtoce
Armando Rosati, staffetta partigiana, 105° Brigata Garibaldi


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