Da Genova parta una svolta



Nino Galloni    23 Agosto 2018       2

Rilanciamo un articolo dell’economista Nino Galloni pubblicato sul sito www.scenarieconomici.it che ci è stato segnalato dal nostro Giuseppe Davicino che lo considera “un manifesto fondativo per un soggetto politico alternativo al rassemblement austeritario che si sta formando fra PD-FI-+Europa, e in competizione con il governo gialloverde nel realizzare quelle politiche espansive in favore della classe media, chieste dagli elettori col voto del 4 marzo”.

 

Poco meno di quarant’anni fa, il Paese iniziò un percorso nuovo che l’avrebbe portato in un vicolo cieco, l’attuale vicolo cieco.

Nel gennaio del 1981, infatti, facendo seguito a pressioni americane e mitteleuropee, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrisse una semplice lettera all’ allora Governatore C. A. Ciampi per informarlo che da quel momento la Banca d’Italia non era più obbligata ad acquistare i titoli del debito pubblico a bassissimi tassi di interesse che lo Stato non riusciva a vendere direttamente al mercato.

Si voleva così sottrarre, senza passare per un voto parlamentare, alla classe politica corrotta e clientelare, lo strumento più importante, quello degli investimenti e della spesa pubblica produttiva.

Da quel momento, con un colpo solo lo Stato si vide equiparato a qualsiasi disgraziato che debba implorare soldi dalle banche, alle condizioni decise dal mercato cioè dalle banche stesse; il Tesoro non poté più decidere il tasso di interesse e, infatti, da allora il debito pubblico cominciò a schizzare dal 60% del PIL (1980) al 120% (1989).

La spesa pubblica produttiva e per investimenti si contrasse, ma quella ordinaria e vincolata no, sicché si ottenne esattamente l’opposto di quello che si auspicava: la qualità della spesa peggiorò; il Paese si trovò in difficoltà; la classe politica sollevata dal compito di decidere le grandi strategie, si concentrò solo su clientelismo, corruzione e poltrone.

Dopo il 1981 è stato un crescendo di misure volte a contenere la spesa pubblica e i disavanzi, accrescere la pressione fiscale, governare con l’assillo dei conti, legarsi sempre più mani e piedi per accettare quanto chiesto dall’Europa e ottenere un posto nell’euro in prima fila.

Ma in questi quasi quarant’anni il mondo è cambiato radicalmente (sono aumentati esigenze, reti informatiche e telematiche, meccanizzazione delle infrastrutture, cambiamenti nell’edilizia civile e industriale, sensibilità per l’ambiente, la sicurezza e la salute); ma non si sono registrati sufficienti progressi sul fronte della cultura economica e politica.

Si è accettata l’idea che le risorse pubbliche siano scarse e che i privati possano gestire tutte le attività meglio dello Stato.

Quindi si è dimenticato che se talune attività è bene che vengano gestite con la logica del profitto, molti altri servizi (sanità, trasporti collettivi, infrastrutture) richiedono standard di sicurezza che per lo Stato sono investimenti e per i privati sono costi (da minimizzare).

Ma se lo strumento delle privatizzazioni e l’obiettivo del profitto non risultano in certi casi adeguati perché gli operatori di borsa guardano al livello del profitto e quest’ultimo è concorrente al costo della sicurezza, rimangono solo 4 strade.

  1. L’aumento delle tasse; ma nessuno lo vuole.

  2. L’aumento dei disavanzi pubblici, ma essi sono stati – a torto – demonizzati (invece si doveva continuare a finanziarli a bassi tassi di interesse).

  3. La moneta pubblica sovrana non a debito, ma quasi nessuno sa cos’è.

  4. Le partecipazioni statali che hanno vincolo di bilancio, ma non devono necessariamente massimizzare il profitto.


Se non si accetta almeno uno dei quattro strumenti appena accennati è inutile e ipocrita piangere i morti di Genova. Bisogna accettarli come le vittime di una guerra; una guerra che gli Italiani stanno perdendo, come altri popoli, ma che – ora – debbono dimostrare di non volere.

Non volete pagare troppe tasse o veder aumentare il debito pubblico?

Benissimo, allora delle due l’una: o accettate le vittime derivanti da insufficiente manutenzione del territorio e delle infrastrutture o vi decidete a pensare in termini di sovranità monetaria e di ritorno alla spesa pubblica produttiva.

Ogni Stato dell’eurozona può emettere mezzi monetari a sola circolazione nazionale con cui pagare gli investimenti necessari: gli Stati e le banche centrali diversi dalla BCE non possono emettere banconote e moneta a corso legale in tutta l’eurozona (articolo 128 del Trattato di Lisbona), ma nulla vieta la emissione di statonote, monete di pezzatura non standard o biglietti di Stato a sola circolazione nazionale…

Pensiamoci!


2 Commenti

  1. “Ogni Stato dell’eurozona può emettere mezzi monetari a sola circolazione nazionale con cui pagare gli investimenti necessari”: perfetto, comunque gli assignat li inventò Luigi XVI di Francia, ma non funzionarono, ora possiamo provare con i soldi del Monopoli, tanto c’è poca differenza.

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